Osvalda Clorari è stata moglie, amica e compagna di Gino Pellegrini. Ora è custode e promotrice del lavoro del marito, curatrice insieme a Stefano Fini della mostra Il materiale e l’immaginario e ideatrice del progetto Officina Pellegrini.

Le abbiamo chiesto di raccontarci come ha vissuto quest’ultimo anno ricco di progetti.

 

È stato un anno molto impegnativo per te e Stefano Fini. Due grandi mostre da pensare, curare e seguire in ogni fase, insieme a noi, Fondazione Rocca dei Bentivoglio e alla Fondazione Bonotto (per cui hai ha curato la mostra “Gino Pellegrini. Giocando con l’arte”).
Rimane ancora da completare ancora l’allestimento della mostra di Savigno, ma cosa rimarrà nella memoria di Osvalda di questa mostra?
Sì, in effetti questi ultimi tre anni sono stati molto impegnativi per noi, iniziando con le mostre scenografiche al teatro di Savigno nel novembre 2015 e 2016. Contemporaneamente abbiamo attuato l’antologica del Veneto con una scelta significativa di opere dei diversi periodi dell’attività di Gino con un’ultima stanza dedicata alla sua “figura” umana, importante, perché l’uomo e l’artista sono inscindibili. È stato un lavoro difficile che ci ha però motivato a fare una prima catalogazione – seppur “artigianale”- e una mappatura della totalità del suo lavoro, come emerge anche dal catalogo pubblicato nel dicembre 2016 in collaborazione con Fondazione Bonotto.
Siamo così arrivati al progetto della mostra diffusa sul territorio di Valsamoggia abbastanza preparati. Tuttavia non è stato facile dividere un percorso che si era svolto in un’unica sede e in stanze susseguenti, in tre sedi diverse con tempi diversi, nel rispetto delle esigenze di questo territorio, anzi di questi territori, mantenendo una chiara leggibilità del nostro autore. Alla fine dell’anno si vedrà se ci siamo riusciti. Ma credo che una impressione positiva si possa avere già adesso, dopo poco tempo dall’apertura della sede principale nella Rocca di Bazzano e a pochi giorni dall’inaugurazione della mostra di Crespellano, alle quali seguirà il terzo allestimento nel teatro di Savigno; in questo modo “graduale” l’operatività di Gino Pellegrini si può gustare meglio, data la vastità delle sua ricerca e l’apparente diversità delle opere nei diversi cicli (“apparente” perché c’è sempre una retrostante unità stilistica). Complessivamente con l’impegno di tutti gli operatori coinvolti abbiamo notevolmente ampliato la gamma e il numero delle opere esposte, grazie anche ai prestiti dei collezionisti bolognesi, offrendo – pensiamo – una visione esauriente di un autore che più approfondiamo e più ci appare stimolante, in un allestimento originale che pone la fondazione di Valsamoggia quale produttore di cultura in un periodo, diciamolo pure, in cui la tendenza prevalentemente di istituzioni ben più ricche e prestigiose è quella di comprare mostre preconfezionate. Questo è già un bel risultato. Se poi le nostre mostre produrranno un piacere e una crescita in chi le visiterà, avremo sicuramente raggiunto un altro grande obbiettivo.

 

A quale opera non avresti mai rinunciato?
Difficile rispondere. Per me è molto importante anche la microscopica grafia in mostra nella Sala Ginevra della Rocca, rappresenta l’origine di un discorso che poi si sviluppa per anni, oppure il bozzetto della formica solitaria che abbiamo ritrovato ed esposto nella sala Cantina. Metto sullo stesso piano la totalità del lavoro di Gino perché quello che conta è il gusto per la ricerca, per la sperimentazione senza pregiudizi e per l’invenzione che si trova ovunque. Ma, per rispondere a una domanda che ha delle aspettative, dirò che fra le opere in acrilico ci tenevo molto ad esporre la grande cassaforte di proprietà del Mambo di Bologna (acrilico del 1974, esposta a Bazzano, n.d.r.) per la sua simbolicità e dimensione. Fra le opere dedicate al grande tema-contenitore “natura”, il pannello intitolato “Il cavallo zoppo ha le ali” (esposto anch’esso a Bazzano, n.d.r.) appartenente a un collezionista affezionato, per la sua irripetibile unicità e per la somma di significati che esprime. Sono molto contenta che i visitatori possano godere queste opere visibili solo in questa occasione, come anche tra gli acquarelli esposti a Crespellano accade per “Il Grande vortice”. Le tante altre opere esposte, di pari valore artistico, non le nomino solo perché sono state più facilmente raggiungibili.

 

Una piccola curiosità. Negli ultimi anni sopratutto Gino si era impegnato molto nell’attività performativa. Come si preparava Gino alle sue performance artistiche dal vivo?
Per le performance pittoriche “in diretta” Gino preparava bozzetti per lo più veloci e indefiniti, oppure montaggi di foto, da considerare come tracce, per mantenere il più possibile l’improvvisazione. Poteva contare su una grande professionalità, sicurezza, padronanza di mezzi e velocità esecutiva, che gli consentivano di realizzare una pittura-spettacolo in un modo che possiamo definire “ritmico”. In una cosa però era meticoloso, la preparazione dei colori. Era un’operazione che richiedeva tempo e concentrazione, senza tema poi di riempire il furgone di tanti secchielli numerati con tutte le sfumature necessarie per ottenere sempre una pittura limpida, non impastata.

 

Cosa vi ha portato a vivere qui, nella Valle del Samoggia? Come è stata l’accoglienza e come si è sviluppato vostro rapporto con i territorio e con chi lo abita?
Cercavamo un posto finalmente “nostro”, per lavorare, progettare, vivere. Un posto da poter adattare alle nostre necessità, da cui partire per i diversi lavori con tutto ciò che occorreva e per ritornarvi. Il caso ci ha portato qui e abbiamo subito capito che era il posto giusto per noi anche se per altri poteva sembrare “fuori mano”. In maniera naturale si è via via allargata la rosa delle conoscenze con reciproca soddisfazione e anche con importanti occasioni di lavoro in loco.

 

L’Officina Pellegrini è ormai non solo casa tua, ma il centro di un grande progetto culturale. Cosa c’è nel presente ma sopratutto nel futuro dell’Officina?
Ora l’Officina Pellegrini – come è stata credo felicemente definita– continua ad essere quello che è sempre stata. Un luogo dove continuare a vivere, godendo della bellezza “vicina”(parola di Gino) che questa collocazione ci offre e dove continuare a lavorare. C’è molto da sistemare, ordinare e ci vuole anche il tempo per pensare. Gino ci ha lasciato un grande patrimonio di idee che possono svilupparsi in progetti e anche in opere, nella convinzione – che era anche la sua – che l’arte è alla portata di tutti e che non ci sono gerarchie nella vasta gamma delle possibilità del “fare”, se lo si fa con piacere e –oserei dire usando una parola grossa– con amore. Questo è anche un luogo degno di essere visitato, per come è e per quello che c’è, per l’atmosfera che emana ma anche per quello che può insegnare. Siamo solo all’inizio e per ora siamo solo in due anche se abbiamo costituito una associazione, speriamo di avere la forza(e la salute) necessaria per portare avanti un progetto culturale che ci assorbe interamente. Nelle due estati scorse abbiamo ospitato spettacoli nella rassegna Corti, Chiese e Cortili, in primavera scolaresche in visite operative grazie ad un bel progetto della Fondazione Rocca dei Bentivoglio. Nell’Officina progettiamo e mettiamo in atto esposizioni delle opere che abbiamo e che riusciamo a reperire. Poi ci sono quelle che Gino ha disseminato su questo territorio e su altri vicini da conservare e da restaurare, in primis il gruppo scultoreo sulla rotonda Bortolani, per dirne una che vedo spesso. Questo è un capitolo difficile perché richiede un vero interesse e anche forze finanziarie indispensabili, reperibili solo con il coinvolgimento della Comunità che le possiede.

 

Per conoscere da vicino Gino e le attività dell’Officina Pellegrini, visitate il sito web www.ginopellegrini.it

Elisa Schiavina
Grafica e Comunicazione
Fondazione Rocca dei Bentivoglio

 

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