Dal libro al film

Un viaggio all’origine di un personaggio iconico attraverso secoli e media diversi

 

In altri articoli di questo Blog abbiamo già potuto vedere come l’ispirazione per storie e personaggi universalmente famosi abbia sovente un’origine letteraria, e spesso la storia di questa stessa origine costituisce un racconto interessante, come ad esempio ciò di cui parleremo oggi.

E per introdurre questa storia, dobbiamo tornare indietro nel tempo e andare a trovare un romanziere in esilio.
Il grande scrittore francese Victor Hugo visse infatti sull’isola inglese di Guernsey – sita nel Canale della Manica – dal 1855 al 1870, dopo aver dovuto lasciare la patria per la sua opposizione al governo di Napoleone III e alle relative politiche anti- liberali. Nonostante l’isolamento si dedicò con passione all’attività intellettuale, coniugando impegno politico e scrittura e producendo numerose opere, tra le quali la più famosa, I miserabili, pubblicata nel 1862.

Durante il soggiorno inglese scrisse però anche un altro romanzo storico, che alla sua uscita, nel 1869, fu accolto con scarso favore e ancora oggi non è i suoi titoli più conosciuti. Eppure questo libro ha lasciato un segno importante, perché ha contribuito, anche se in modo involontario, a creare un personaggio che ha attraversato vari generi narrativi e si è imposto nell’immaginario collettivo di tutti noi.

Il romanzo è L’uomo che ride.

La storia è ambientata nell’Inghilterra del ‘700 e vede come protagonista lo sfortunato Gwynplaine, un giovane orfano che da bambino è stato sfigurato in modo tale che il suo volto sia perennemente piegato in un sorriso grottesco e che una volta cresciuto si guadagna da vivere esibendosi come clown nelle fiere di paese. Il suo dolore è in parte attenuato dall’amore che nutre per Dea, una ragazza cieca che non si cura del suo aspetto deforme e ne comprende la bontà d’animo. Quando si scoprono le sue vere origini la speranza pare riaccendersi: un criminale condannato a morte confessa di aver rapito Gwynplaine quando era bambino e di essere il responsabile del suo sfregio. Si scopre anche che il padre del ragazzo era un nobile, morto in esilio. Il giovane vede perciò riconosciuto il proprio diritto al titolo nobiliare e viene condotto alla camera dei Lords per l’investitura ufficiale. Ma durante la cerimonia, disgustato dall’indifferenza dell’aristocrazia per le sofferenze e la miseria del popolo, prende la parola e attacca l’assemblea. I nobili però lo insultano e lo deridono per il suo aspetto, costringendolo ad andarsene. Scacciato da una società in cui tutti lo rifiutano, Gwynplaine ritorna dai vecchi compagni del mondo di saltimbanchi girovaghi che frequentava nella sua vita precedente, e ritrova così l’affetto di Dea. Il finale però sarà tragico.

Come si vede, la trama propone alcuni elementi caratteristici della poetica di Hugo, riconoscibili anche in altri suoi grandi capolavori, quali Notre-Dame de Paris o il già citato I miserabili: la forte denuncia delle disuguaglianze della società, l’attenzione partecipe alle vicende dei reietti che essa produce, i temi della deformità fisica e del grottesco. Questi contenuti sono espressi dall’autore in una narrazione di spiccato gusto romantico, che alterna scene dai forti chiaroscuri a meticolose descrizioni della cornice storica. Probabilmente è stato questo tono melodrammatico che alcuni anni dopo ha richiamato l’attenzione del cinema.

Nel 1928 la Universal Pictures trae un film muto dal romanzo, utilizzando due stelle di prima grandezza dell’espressionismo tedesco: il regista Paul Leni e l’attore Conrad Veidt – già apparso nel celebre Il gabinetto del Dottor Caligari – nella parte di Gwynplaine. Inizialmente il film era stato pensato come un’avventura di cappa e spada, tanto che, come spesso succede nelle riduzioni cinematografiche di opere letterarie, il finale è stato modificato inserendo un lieto fine per i protagonisti. Ma il taglio cupo e allucinato delle riprese e soprattutto il trucco di scena utilizzato da Conrad Veidt conferiscono alla pellicola l’atmosfera di un horror.

L’aspetto di Gwynplaine è in effetti tra gli elementi più indimenticabili del film e probabilmente rappresenta ciò che ha contribuito maggiormente a eternarne la fama. Il pallore del viso reso spettrale dal cerone bianco, i capelli stopposi pettinati all’indietro e soprattutto il ghigno a “V”, dilatato e fisso in modo innaturale, disegnano un personaggio inquietante ma che allo stesso tempo ci è molto familiare, tanto da sembrare qualcosa di classico. Per alcuni aspetti, ricorda le maschere tragicomiche del teatro antico o della commedia dell’arte. Per altri, suggerisce qualcosa di molto moderno, addirittura di pop. E qui serve un piccolo salto temporale in avanti.

Nel 1940 gli autori di Batman Bill Finger e Bob Kane, assieme al loro collaboratore Jerry Robinson, decidono di inventare un personaggio che sia la nemesi della loro creatura. Il numero 1 della rivista dedicata all’uomo-pipistrello deve uscire a breve e i tre vogliono per lui un avversario ben costruito e che costituisca nel tempo una fonte costante di conflitto, come il Dr. Moriarty per Sherlock Holmes. Dev’essere diabolico ma clownesco, visivamente interessante e bizzarro. “Memorabile come il Gobbo di Notre Dame o qualsiasi altro cattivo che abbia caratteristiche fisiche uniche” ricorda Robinson, in un’intervista in cui il riferimento a un altro celebre personaggio di Victor Hugo suona profetico. Ispirati dall’illustrazione di una carta da gioco e da una foto di Conrad Veidt/Gwynplaine trovata in un’edizione del romanzo, i tre inventano un’icona immortale del mondo del fumetto e successivamente anche del cinema: il Joker.

Apparentemente tale ispirazione è solo visiva, poiché i due personaggi hanno personalità e ruoli molto diversi. Uno è un eroe romantico, dallo spirito puro e generoso, che rimane fedele al proprio ideale nonostante il destino tragico e la sconfitta. L’altro è un folle criminale dal perverso senso dell’umorismo, che architetta misfatti per il puro gusto di seminare distruzione.

In realtà Joker, pur restando un villain, un “cattivo” per definizione, condivide un tratto decisivo col suo modello originario: il fardello della deformità, intesa come danno irrimediabile che stravolge l’esistenza, e le conseguenze che essa provoca. Ne L’uomo che ride la deformità non è frutto del caso come per Quasimodo in Notre Dame de Paris, ma è il risultato della violenza degli uomini. E’ un prodotto del male che circonda l’uomo e lo opprime. Non è un caso che una delle operette in cui recita Gwynplaine s’intitoli La sconfitta del caos, dove il clown interpreta un uomo che con l’aiuto della Luce trionfa sull’Oscurità. Per Victor Hugo, impegnato politicamente, il caos è rappresentato dalle forze dell’Ancien Regime che si oppongono all’avvento della democrazia e della giustizia sociale.

Nella genesi del Joker, per come è stata aggiornata nel corso tempo dagli sceneggiatori – partendo dalla graphic novel Batman: The Killing Joke, disegnata da Brian Bolland e non a caso scritta dal leggendario autore di Watchmen, Alan Moore – fino ad arrivare al celebre film con Joaquin Phoenix di un paio di anni fa, la situazione è simile. Una sequenza di disgrazie personali, traumi e l’indifferenza di una società spietata minano irreversibilmente l’equilibrio psichico di un uomo, trasformandolo in un mostro.

 

La recensione di Joker di Tood Phillips

Per entrambi, l’urto con un destino crudele produce una cicatrice indelebile: un sorriso folle, tragico e canzonatorio allo stesso tempo, che è anche l’effetto di una dolorosa presa di coscienza della realtà. In questo modo è come se si trasformassero in una figura simbolica eterna, nota a tutte le culture del mondo e che, come si è detto, riconosciamo istintivamente: il Trickster, ovvero il Pazzo, il Giullare, il Burlone Divino, il sovvertitore dello status quo. Come abbiamo visto però, questa contestazione dell’ordine esistente avviene in nome di ideali di progresso per l’uno e di folle e omicida anarchia per l’altro.

Per chiudere, è interessante notare come questi due orientamenti contraddittori si siano in un certo senso riuniti in una nuova maschera sinistra, divenuta in seguito simbolo di ribellione per numerosi movimenti antagonisti: quella di V for Vendetta, personaggio creato dal già citato Alan Moore ispirato alla figura storica di Guy Fawkes. Ancora una volta un Uomo che Ride, come testimone dello scandalo delle ingiustizie del mondo.

 

 


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Ecco dove potete trovare i libri, i fumetti e i film citati:

 

 

Libri

    • L’uomo che ride, Victor Hugo, 1869 – Biblioteche di Castello di Serravalle e di Crespellano
    • I miserabili, Victor Hugo, 1862 – Biblioteche di Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e Savigno
    • Notre Dame de Paris, Victor Hugo, 1831 – Biblioteche di Castello di Serravalle, Monteveglio e Savigno

 

 

Film

  • L’uomo che ride, Paul Leni, 1928 – Mediateca di Bazzano
  • Das cabinet des dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari), Roberty Wiene, 192o – Mediateca di Bazzano

 

Fumetti

  • V for Vendetta, Alan Moore, 1985 – Mediateca Comunale di Bazzano
  • Batman, Bob Kane, 2003 – Biblioteca di Monteveglio 

 

 

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  • Una lettura perversa del film d’autore : da Psyco a Joker, S. Zizek, 2020 – Mediateca di Bazzano
  • Batman : il film, L. H. Martison, 1966  – Biblioteca di Crespellano
  • Batman, T. Burton, 1989 – Mediateca di Bazzano
  • Batman : il ritorno, T. Burton, 1992 – Mediateca di Bazzano
  • Batman forever, J. Schumacher, 1995 – Biblioteca di Crespellano
  • Batman begins, C. Nolan, 2005 – Mediateca di Bazzano
  • Il cavaliere oscuro, C. Nolan, 2008 – Mediateca di Bazzano
  • Il cavaliere oscuro : il ritorno, C. Nolan, 2012 – Biblioteca di Castello di Serravalle, Mediateca di Bazzano
  • V per vendetta, J. McTeigue, 2006 – Biblioteca di Crespellano, Mediateca di Bazzano