LA CASA DEL CAPITANO, IL BORGO E LA BATTAGLIA DI ZAPPOLINO

La Casa del Capitano, sede dell’Ecomuseo, fu edificata nel 1235, come testimoniato dalla lapide murata sulla facciata dell’edificio, dal Capitano Jacopino da San Lorenzo in Collina, che aveva probabilmente una funzione di controllo sul territorio circostante.

Al confine tra Modena e Bologna, in una posizione naturalmente ben difendibile, il borgo sorge su di una piccola altura circolare che domina a est la vallata del torrente Ghiaie di Serravalle, ricca di vigneti alternati a campi coltivati, mentre, verso nord, si apre sulla vallata del rio d’Orzo.

Nonostante una leggenda parli di una sosta di Carlo Magno a Castello di Serravalle durante il suo viaggio verso Roma per l’incoronazione imperiale (nell’anno 800) e un’altra riporti che nel 1197, una delle porte della città di Imola, distrutta dai bolognesi, venisse riutilizzata nel Castello di Serravalle, non vi sono certezze della presenza di un vero e proprio “castello” fino al XIII secolo. Se oggi appare come un borgo tranquillo e silenzioso, in un passato molto antico, ricco di vicende storiche complesse, è stato scenario di forti contrasti, di distruzioni, ricostruzioni e modifiche, testimoniate dai numerosi ingressi e passaggi, aperti e successivamente tamponati, ancora oggi visibili osservando con attenzione le mura.

Il 15 novembre 1325, Castello di Serravalle fu al centro della manovra di aggiramento che si concluse a pochi chilometri di distanza, con la battaglia di Zappolino, una delle più sanguinose battaglie campali del medioevo, alla quale parteciparono circa cinquemila cavalieri e trentamila fanti. In poche ore i ghibellini modenesi inflissero una gravissima sconfitta ai guelfi bolognesi, e si spinsero fino alle porte della stessa Bologna, dandosi a ruberie e saccheggi.

Il Cassero

Negli stessi anni della battaglia di Zappolino, intorno al 1325, l’ingresso principale al borgo, era lo stesso di oggi, preceduto però da un ponte levatoio che superava un profondo fossato: attraverso le due strette aperture verticali al di sopra del primo arco di ingresso, passavano i bolzoni in legno di quercia, ai quali erano fissate le catene che permettevano il sollevamento del ponte levatoio. I due archi a sesto acuto formavano un efficace sistema difensivo noto come “porta a tenaglia”: se anche i nemici fossero riusciti a superare il primo portale, si sarebbero trovati in uno spazio molto angusto, e sottoposti al tiro dei difensori dall’alto dei camminamenti sovrastanti.

Per la costruzione delle imponenti mura del cassero, erette nel 1304, furono impiegati materiali di diversa origine: pietre accuratamente squadrate, sassi lavorati rozzamente, ciottoli di fiume e laterizi riutilizzati, provenienti da edifici medioevali e romani.

La Rocca

La Rocca duecentesca fu fatta abbattere nel 1451, insieme alle mura, dal senato bolognese, esasperato per i continui tentativi di ribellione e di tradimento, l’ultimo dei quali vide protagonista il castellano Giovanni Buono, impiccato poiché scoperto mentre cospirava per consegnare il castello al signore di Carpi. Tuttavia, nel 1527, temendo il passaggio in Italia delle temute truppe lanzichenecche, il Legato pontificio a Bologna, Pirro Buttiglieri, fece ricostruire frettolosamente sia le mura che la Rocca. Della forma duecentesca l’edificio conserva ancora la pianta irregolare a trapezio, e buona parte della sala al piano terreno, con un imponente portale a sesto acuto in pietre accuratamente squadrate, ornato da bassorilievi, uno dei quali raffigura un uomo con una grande chiave: è un particolare di grande suggestione se lo affianchiamo all’ipotesi che identifica la Rocca come l’ingresso più antico al borgo, prima della costruzione del cassero.

Questo edificio di quattro piani, l’ultimo dei quali usato anticamente come colombaia (ancora oggi vi nidificano rapaci diurni, come il gheppio, e notturni, come il barbagianni), fu sempre adibito ad usi militari, ospitando soldati pronti alla difesa del borgo, dal medioevo fino alla fine del Settecento. Attualmente è di proprietà privata.

Il Palazzo Boccadiferro

L’austero edificio ha preso il nome dalla famiglia dei Boccadiferro, che lo ha posseduto per cinque secoli, dopo il 1360, anno del matrimonio della nobile e ricchissima Bitia di Giacomo Odoni col condottiero bolognese Francesco Boccadiferro, originario di Piumazzo.

Anche se oggi appare come una residenza nobiliare cinquecentesca, la perdita dell’intonaco che rivestiva le pareti esterne permette di osservare le alte arcate di un più antico porticato, a dimostrazione delle sostanziali modifiche che hanno interessato il palazzo con il passare dei secoli. C’è infatti chi pensa che, in realtà, il gruppo di edifici che costituiscono il Palazzo Boccadiferro come lo vediamo oggi, abbia inglobato l’antichissimo castello nel quale fu ospitato Carlo Magno durante il suo viaggio a Roma.

Nel palazzo del Boccadiferro è ambientata una parte dell’opera lirica Amore e morte, composta nel 1921, su libretto di Giuseppe Lipparini, da Gaetano Luporini, compositore lucchese vissuto tra il 1865 e il 1948.

Nel 1846, nel salone al piano terreno fu celebrato il matrimonio tra Gioacchino Rossini ed Olimpia Pellissier.

La Chiesa di San Pietro

Nel punto più elevato della collina sulla quale sorge il borgo, si trova la chiesa di San Pietro Apostolo, che non conserva nulla dell’edificio medioevale, ma che merita sicuramente una visita per la particolarità di alcune opere che vi sono conservate, come il paliotto dell’altare maggiore, con un insolito gruppo di tre paesaggi graffiti, la statua in legno policromo della Madonna del Rosario, nell’altare di sinistra, che ogni anno viene portata in processione secondo una tradizione plurisecolare, e l’organo Franchini del 1870.

La chiesa medioevale fu demolita e completamente ricostruita nel tardo Seicento senza un proprio campanile perché a questo scopo veniva utilizzata la torre della vicina Casa del Capitano. Alla metà dell’Ottocento, quando l’interno della chiesa si presentava già come oggi e la facciata conservava le forme corinzie della ricostruzione seicentesca, fu descritta come “tra le più belle della montagna del bolognese”.

La Torre Campanaria

La torre fu edificata insieme alla casa del Capitano, nel 1235, con la duplice funzione di torre di avvistamento e torre campanaria, dal momento che tra i compiti del Capitano era compreso quello di suonare le campane, per radunare gli abitanti in caso di pericolo.

Nella cella campanaria sono tuttora utilizzate le 4 campane in bronzo appositamente fuse nel 1840; tra queste, la campana maggiore è decorata alla base con un tralcio di vite: accanto al significato religioso, legato alla liturgia cattolica, la vite ci rimanda immediatamente anche alla forte vocazione vinicola del territorio di Castello di Serravalle. Un’ultima notizia… passando dal vino all’acqua: subito dopo la Seconda Guerra Mondiale la cella campanaria fu temporaneamente trasformata in deposito dell’acquedotto comunale.

La Torre Colombaria

Nel borgo di Serravalle si possono osservare anche tipici esempi di case-torri, caratteristiche dell’Appennino bolognese nel Cinque-Seicento.

Le solide ed alte torri di avvistamento costruite durante il Medioevo per rispondere ad esigenze difensive, erano in grado di garantire nel contempo funzionalità, sicurezza e rifugio per gli abitanti delle case vicine. Con il consolidarsi dell’assetto politico, dal Cinquecento in poi, la necessità difensiva divenne sempre meno importante, con effetti evidenti anche sulla tipologia edilizia che evolvette da “casa a torre” in “casa con torre”. La torre, piuttosto bassa, veniva aggiunta ai nuovi edifici per creare ambienti spesso con funzioni diverse da quelle abitative: magazzini, ricoveri per attrezzi e, all’ultimo piano, colombaie e rondonaie, i cui “ospiti” potevano fornire sia carne per la mensa che concime per gli orti.

I pozzi di Serravalle

Lungo via Boccadiferro si può osservare una piccola costruzione in pietra e mattoni che sovrasta uno degli oltre 20 pozzi ancora attivi che si trovano nel borgo. Questo pozzo era destinato ad uso pubblico e utilizzato dalle famiglie prive di un pozzo privato.

Fino agli inizi del Novecento questi pozzi o cisterne, alimentati ad acqua piovana, erano la principale fonte di approvvigionamento di acqua per il borgo. Sparsi tra le colline e nei fondovalle sono presenti anche pozzi artesiani, sovrastati da piccoli edifici a capanna o di forma cilindrica con piccola cupola, le cui acque profonde sono di qualità migliore e potabili. Per garantire acqua potabile anche al borgo e alle case sulle colline circostanti intorno al 1960 è stata costruita la torre dell’acquedotto che si trova quasi di fronte al piccolo pozzo, al centro dello spiazzo proseguendo lungo la via Boccadiferro.

Il pollaio

Al termine degli spazi destinati agli orti lungo via Boccadiferro, un piccolo edificio era destinato ad ospitare animali domestici ed al ricovero della legna per il forno. Questo è un altro segnale della presenza della vita rurale anche all’interno del borgo. Anche nella casa accanto al porcile-pollaio gli ambienti al piano terreno erano usati come stalle per ospitare ovini o bovini.

Gli orti

Appena oltre gli orti di via Boccadiferro, nel punto in cui la scarpata scende ripida a valle, sorgevano le mura medioevali del borgo, demolite nel 1451.

Come è evidente nell’antica mappa che riporta le superfici destinate a questo uso, gli orti sono sempre stati molto importanti nell’economia domestica degli abitanti di Serravalle, tanto che era presente anche un’area denominata “orto comune”. È un segno della presenza del mondo agricolo tradizionale anche nella vita quotidiana all’interno del borgo.

Il sentiero dei frutti selvatici

Fino al secolo scorso i campi coltivati a seminativi o a prato erano separati da fossi e da siepi. Nelle siepi e nei boschetti venivano accuratamente allevate piante selvatiche da frutto, da utilizzare come portinnesti per quelle coltivate, o semplicemente per avere qualcosa da mangiare nelle giornate di lavoro in campagna.

Mele, pere selvatiche, visciole, nespoli e mirabolani sono stati piantati lungo il sentiero che circonda il lato settentrionale del borgo per creare un piccolo percorso didattico.