L’allevamento dei bovini per la produzione di latte da destinare alla produzione di Parmigiano Reggiano è ancora un’attività importante per il territorio di Castello di Serravalle. La nascita delle cooperative casearie nel secondo dopoguerra ha contribuito alla diffusione delle stalle famigliari di piccole-medie dimensioni e le severe norme che regolano la produzione di questo pregiato formaggio, che vincolano gli allevatori a nutrire gli animali con foraggi locali, contribuiscono a mantenere pressoché inalterato l’aspetto del territorio coltivato.

Oltre agli animali di bassa corte (pollame e conigli) sempre presenti nelle aziende agricole di ogni dimensione, non si può dimenticare il ruolo principe che ha sempre avuto il maiale nell’alimentazione di queste zone. Allevato al pascolo durante il Medioevo negli estesi querceti che coprivano il territorio, almeno dalla prima metà dell’ Ottocento divenne usuale nutrirlo con farina d’orzo e crusca, con gli scarti dell’orto, della cucina e col siero rimasto dopo la preparazione casalinga del formaggio. La macellazione avveniva tradizionalmente (e avviene ancora oggi presso diverse famiglie contadine) tra i mesi di dicembre e gennaio per sfruttare le proprietà conservative del clima freddo. Non tutti i prodotti erano destinati all’autoconsumo: i salumi più pregiati, come i prosciutti, i salami e le coppe d’estate venivano spesso venduti. Ai contadini restavano i tagli meno pregiati ma non meno gustosi: il fegato e il sangue si consumavano nei giorni subito successivi alla macellazione, poi i ciccioli, la coppa di testa, la cosiddetta “salsiccia matta” (fatta con le frattaglie e qualche ritaglio di carne) e i cotechini. La pancetta e il guanciale si conservavano più a lungo, come anche le salsicce, che venivano appese nelle cantine a seccare o disposte in vasi e coperte di strutto fuso.