
VERSO GLI OSCAR – La zona d’interesse
Pochissime ora ci separano dalla Notte degli Oscar, quindi quinto e ultimo appuntamento. Katia Nobili poi ci racconterà le impressioni sulla serata, con i momenti più avvincenti. Intanto conosciamo insieme l’ultima creazione di Jonathan Glazer, “La zona d’interesse”.
LA ZONA D’INTERESSE
Una villetta dai toni pastello, un giardino curato e pieno di fiori, uno stuolo di domestiche e bambinaie impegnate nella preparazione di un rustico ma elegante buffet domenicale, la spensieratezza di un posticino di campagna negli anni Quaranta.
Una coppia affiatata, che sta insieme da tanto tempo e che ha lavorato duramente per poter garantire ai cinque amatissimi figli un futuro migliore.
Una promozione che porta il papà a trasferirsi lontano da casa, seppur momentaneamente, per non perdere quell’impiego che ha permesso loro di prosperare, la sofferenza della lontananza, le piccole tribolazioni quotidiane.
Sembrerebbe molto facile rivedersi in queste persone semplici, energiche e pratiche, se non fosse che dall’altra parte della recinzione si erge un alto muro col filo spinato, e che alle risate dei bambini si contrappone una sinfonia di fondo fatta di spari, urla di comando e grida di dolore.
La famiglia di cui si parla in La zona d’interesse, infatti, è quella di Rudolf Höss, membro delle SS e primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, e quel lavoro di cui la moglie va tanto fiera consiste nello smaltire le persone indesiderate, come se si trattasse di rifiuti tossici.
Malgrado ciò, la naturalezza con la quale i due portano avanti la loro vita fa sì che, a tratti, lo spettatore perda il contatto con ciò che sta succedendo e finisca per empatizzare con la situazione. Se non fosse che, rapide come coltellate, le note stridenti della colonna sonora ci ridestano e la nostra attenzione viene attirata da ciò che fuoriesce da quel campo il cui interno non ci è permesso vedere.
La violenza non viene infatti mai mostrata, ma evocata efficacemente, con i razionali progetti assassini discussi dalle SS, con le urla disperate, con il fumo acre dei forni crematori, che si appiccica ai panni stesi ma anche ai polmoni dei “cattivi”, come una sorta di piccolissima, inefficace, ma significativa vendetta delle vittime.
Un film fatto di dissonanze che però si combinano magistralmente: è ammirabile come gi autori siano riusciti ad ottenere il duplice intento di non giudicare e di attirare l’attenzione su un importante messaggio.
Da un lato, infatti, il regista evita di prendere posizione, non volendo per forza dipingerci gli Höss, come i criminali che erano ma lasciando al pubblico il compito di discernere il bene dal male, i genitori amorevoli dai comandanti feroci, la coppia unita dall’egoismo più sfrenato.
Dall’altro lato, invece, rende evidente e paragona quel tipo di cecità a quello che l’umanità ha provato in diverse epoche e contesti, e in particolare in questo momento storico, di fronte a sofferenze e ingiustizie. Si tende a cercare di normalizzare il sopruso e la violenza, nascondendo la testa sotto la sabbia e non volendo vedere (o sentire) quello che ci succede attorno.
Cinque candidature agli Oscar, tra cui Miglior film, Miglior regista e Miglior Film Internazionale: fatico a credere che resterà senza premi.
Rubrica a cura di Katia Nobili