Sale 2 e 3

L’età romana

La sezione romana è rappresentata solo da alcuni rinvenimenti sporadici e occasionali poiché il territorio della Valle del Samoggia non ebbe precedenti urbani in età romana. Tuttavia queste attestazioni, insieme ad altre testimonianze provenienti dal territorio che sono conservate nei vicini Musei Civici di Modena e Bologna, concorrono a delineare il tessuto insediativo durante la prima e media età imperiale. Questo territorio, di confine tra le colonie di Mutina e Bononia, fu caratterizzato inizialmente da un’espansione legata sia allo sfruttamento agricolo del territorio, sia allo sviluppo di manifatture per produzione ceramica, data l’abbondanza di argilla nei depositi alluvionali della pianura. Dal I secolo d.C. le tipologie insediative si avvicinano sempre più al modello dell’azienda agraria complessa dove le strutture produttive vengono affiancate da lussuosi settori residenziali e sono testimoniate a livello archeologico da elementi decorativi e di arredo.

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Testa femminile di divinità (primi decenni del II sec. a. C)

La testa in marmo grigio di Corfù, rinvenuta nel greto del torrente Samoggia a Stiore di Monteveglio, è costituita da tre frammenti ricomposti e presenta la superficie levigata dall’azione corrosiva dell’acqua. Molto probabilmente la testa è riferibile ad una statua di grandezza poco inferiore al naturale, rappresentante una divinità femminile: se il tipo di pettinatura potrebbe far pensare anche a Venere, la dea romana dell’Amore, l’aspetto giovanile del volto rende più probabile l’identificazione con la dea della caccia, Diana.

Il fenomeno dei pozzi deposito

Con la definizione “pozzo-deposito” si intende un pozzo per l’approvvigionamento idrico, solitamente costruito in epoca romana, che in età tarda (VI-VII sec. a.C.) viene defunzionalizzato ed utilizzato come nascondiglio, sia per oggetti di uso quotidiano (vasi, strumenti, attrezzi) che per materiali preziosi, dalle comunità rurali della zona in occasione di eventi bellici. Nel territorio dell’Emilia centrale compreso tra il fiume Secchia e il torrente Samoggia sono venuti alla luce numerosi pozzi che hanno restituito abbondante materiale archeologico. Gli studi condotti negli anni ’90 del secolo scorso hanno messo in evidenza alcune caratteristiche comuni, come la costante presenza di peculiari tipologie di oggetti e l’intenzionalità della deposizione del materiale deducibile sia dalla enorme quantità di oggetti, sia dalla presenza di strati di separazione. Tali aspetti indussero gli studiosi a parlare di un vero e proprio “fenomeno”, caratterizzato dall’utilizzo di pozzi in disuso per l’occultamento di beni, verificatosi tra il VI e il VII secolo d.C., quando il territorio modenese rappresentava una vera e propria area di frontiera tra Bizantini e Longobardi.

 

Il pozzo Sgolfo fu il primo ad essere scoperto, nel 1839, presso il Rio d’Orzo (al confine tra Castello di Serravalle e Savignano sul Panaro) ed esplorato nel 1841. Della scoperta resta la relazione dell’avvocato Pancaldi, appassionato di storia locale, che aveva raccolto la testimonianza del proprietario del fondo.

Il pozzo presentava una camicia a tecnica mista, formata da frammenti laterizi e ciottoli nella parte superiore e mattoni semicurvi a partire dalla profondità di 27 metri. Il riempimento alto era costituito da terriccio in mezzo al quale furono recuperati frammenti e vasi interi in terracotta, un secchio in rame e un denario argento con busto di Roma galeata sul dritto e lupa e gemelli sul rovescio (quest’ultimo non conservato). Dopo uno strato di ghiaia e un assito ligneo, cominciava un deposito, ordinato a strati, formato da 120 vasi di ceramica, 15 vasi metallici, alcuni pesi da bilancia, frammenti di fibule, utensili in ferro, oggetti in legno, corde in paglia e un cesto in corteccia di salice. Sul fondo, sotto un ultimo strato di terriccio, si trovavano le brocche decorate in bronzo. Nel 1878 i proprietari del fondo in cui avvenne la scoperta donarono i materiali recuperati dal pozzo al neo costituito Museo Civico di Bazzano.

In vetrina

Il cestino in corteccia di salice

Si tratta di un frammento di cesto in corteccia di salice intrecciata a stuoia, dotato di manico in verga di ferro ritorta. Il salice fornisce rami flessibili e resistenti, particolarmente adatti per intrecciare cesti; esemplari analoghi sono attestati nei pozzi tardo-antichi dell’area modenese.

Il Pozzo Casini

Al fenomeno emiliano dei pozzi-deposito è riconducibile anche il pozzo Casini, rinvenuto nel 1867, durante i lavori agricoli nel fondo “La Casina” di proprietà del dott. Pietro Casini. Nel 1873 cominciò lo scavo sistematico del pozzo ai cui lavori parteciparono Arsenio Crespellani, in qualità di direttore, e il giovane Tommaso Casini, entrambi autori di accurate relazioni di scavo.

Il pozzo, profondo circa 12 metri, era rivestito internamente da una camicia di mattoni ad andamento curvilineo e presentava una ruota di legno di quercia incassata nella muratura alla profondità di circa 9 metri. Nella parte più profonda del pozzo fu rinvenuta anche una moneta di Vespasiano, oggi perduta, che però può indicare approssimativamente il periodo di costruzione del pozzo, che fu trasformato in nascondiglio durante la prima metà del VI secolo d.C., come testimoniano i materiali più recenti rinvenuti al suo interno.

 

Nello strato di riempimento del pozzo, oltre a diversi contenitori in ceramica simili per tipologia e caratteristiche tecnologiche a quelli del pozzo Sgolfo, furono rinvenuti una serie di reperti faunistici, xilologici (lignei) e carpologici (semi/frutti) che forniscono dati interessanti relativi alla fauna, alla flora e alla vegetazione arboreo/arbustiva e alle attività agricole presenti nel territorio.

Dal terzo strato del deposito del pozzo furono recuperati numerosi attrezzi ed utensili riferibili alla vita quotidiana delle comunità agricole tra la fine dell’epoca romana e l’alto medioevo, tra cui alcuni pesi in piombo, uno scalpello, un frammento di applique configurata a cigno e alcuni manufatti pertinenti al sistema di approvvigionamento dell’acqua. Alla cura personale sono riconducibili invece un ago per capelli in osso, un bottone sempre in osso ed un pettine a doppia dentatura realizzato in legno di bosso

Negli strati più profondi del pozzo Casini furono deposti i vasi di metallo, che costituiscono il nucleo più prestigioso: 7 brocche da mensa, 3 recipienti da cucina e una patera a fondo piatto, le cui incrostazioni carboniose fanno ritenere che sia stata utilizzata come lucerna.

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La regula

Si tratta di uno strumento per la misurazione lineare, lunga due piedi romani (1 pes = 29,7 cm) suddivisa da sottili incisioni verticali in 24 once (1 uncia = 2,49 cm.); la metà della lunghezza è contrassegnata da un motivo a stella. La regula poteva essere rigida oppure snodata in modo da potersi piegare e poteva essere realizzata anche in osso e in metallo. Questo esemplare, che testimonia il perdurare della tradizione metrologica romana in epoca tarda, è stato ricavato da un frammento di Quercia Caducifoglia, legno tenace, elastico e di facile lavorazione.

Materiali di epoca post-classica

All’interno di una vetrina del Museo è conservato un nucleo di materiali di epoca post-classica, databili per lo più tra il XIV e il XVII sec., provenienti da sterri e recuperi effettuati nell’area attorno alla Rocca durante il ‘900. Oltre a numerosi frammenti pertinenti a contenitori ceramici che presentano diversi tipi di trattamento della superficie (ceramiche invetriate, ingubbiate e smaltate) sono esposti alcuni treppiedi distanziatori da fornace, frammenti riferibili a contenitori in vetro, e diversi reperti in ferro: punte di frecce da balestra, speroni, chiavi, cucchiai e una forchetta.

In vetrina

Sperone a galletto, con lamina ovoidale, collo diritto e stella a sei punte.

Gli speroni sono strumenti di metallo che si applicano ai calcagni del cavaliere per stimolare i fianchi della cavalcatura. Lo sperone è formato da quattro parti: il collare, specie di semicerchio che abbraccia il calcagno; le braccia branche: sono le due parti del semicerchio, formanti con esso un unico pezzo, che vanno dai due lati del piede; la forchetta, che esce dietro a metà del collare; la rosetta, o rotella o stellettaun disco a denti acuminati che serve a pungere i fianchi del cavallo, e che si colloca in una spaccatura all’estremità posteriore dell’asta.