Dalla pagina di Melville alla pennellata di Pellegrini: i mari in tempesta in mostra a Crespellano

 

Moby Dick è considerata unanimemente una pietra miliare della letteratura americana ed è l’opera più importante scritta da Herman Melville.
Pubblicata per la prima volta nel 1851, nella stesura l’autore richiama le sue esperienze giovanili di marinaio e baleniere vissute a metà del 1800, unendole a spunti presi da vicende dell’epoca. Le cronache infatti riportano che nel 1820 un enorme capodoglio affondò la baleniera Essex di Nantucket, mentre nel 1830 un capodoglio bianco di eccezionale stazza e pericolosità, battezzato Mocha Dick dalla gente di mare, fu abbattuto nel Pacifico.

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La trama del romanzo è nota: Achab, il capitano della nave baleniera Pequod, conduce una caccia spietata a un capodoglio bianco dalla fama sinistra chiamato Moby Dick, che lo ha mutilato di una gamba. L’esito dell’impresa è tragico: l’ossessione di vendetta del capitano porta alla distruzione della nave da parte di Moby Dick e alla morte di tutto l’equipaggio, fatta eccezione per un unico marinaio. Questi, Ismaele, è la voce narrante del romanzo e scamperà fortunosamente al disastro per raccontarne la storia.
L’opera ha un carattere complesso perché comprende molti generi diversi: l’avventura di mare, le digressioni tecniche sulla marineria, quelle zoologiche sulla pratica della caccia alle balene, dissertazioni filosofiche ed enciclopediche, citazioni epiche, storiche, bibliche e shakespeariane. Il risultato è quello di trasformare una vicenda circoscritta (una spedizione di caccia alla balena) in una riflessione dal carattere universale sulla condizione umana.

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Lo stile peculiare di Melville, che costringe il lettore a un maggiore sforzo interpretativo, è stata forse tra le cause dello scarso apprezzamento che l’opera incontrò alla sua uscita. Melville in seguito non riuscì ad ottenere altri successi con la scrittura e fu costretto a impiegarsi come ispettore doganale al porto di New York. Moby Dick fu riscoperto solo nel 1921, trent’anni dopo la sua morte.
Comunque, se esiste un carattere distintivo e unificante nell’opera, è certamente quello soprannaturale e simbolico. L’autore è profondamente legato al retaggio culturale e spirituale che deriva dal puritanesimo americano e che influenza altri grandi scrittori, come ad esempio Nathaniel Hawthorne, contemporaneo e amico di Melville. Parte essenziale di questa poetica è costituita da un tema eterno: il rapporto drammatico che l’Uomo ha con il Male e con la Colpa e quindi, per estensione, con il Divino.

Questo è ben sottolineato da Cesare Pavese nell’introduzione alla versione italiana, che lui per primo ha curato e tradotto:

“Si legga quest’opera tenendo a mente la Bibbia e si vedrà come quello che potrebbe anche parere un curioso romanzo d’avventure […], si svelerà invece per un vero e proprio poema sacro […]. Dal primo estratto di citazione «E Dio creò grandi balene» fino all’epilogo, di Giobbe: «E io solo sono scampato a raccontarvela» è tutta un’atmosfera di solennità e severità da Vecchio Testamento, di orgogli umani che si rintuzzano dinanzi a Dio, di terrori naturali che sono la diretta manifestazione di Lui.”

 

Il Male descritto nel romanzo è sia rappresentato come una forza della Natura, titanica e indomabile nella sua forma di balena (che qui davvero impersona il Leviatano della Bibbia), sia come perversione umana: l’orgoglio sfrenato che conduce alla rovina e alla colpa da cui non ci si può liberare.
Man mano che ci si inoltra nella storia si vede come tutto graviti attorno ad Achab, il cui nome di re sanguinario e apostata appare da subito un marchio del destino. Egli è mosso dalla vendetta per la sua mutilazione ma è come se vivendo costantemente questo odio, il suo sentimento si evolvesse in una forma di antagonismo assoluto.
Moby Dick non diventa per lui (e il lettore) solo l’emblema del Male, ma anche dell’Ignoto, del Mistero terrificante che circonda l’Uomo. Achab crede che portare a termine la caccia e uccidere il mostro possa liberarlo dall’ossessione di questo Mistero, ma l’ inseguimento di una preda soprannaturale lo porta a somigliare ad essa e a spogliarsi progressivamente della sua umanità. Come s’intuisce, si tratta di uno sforzo vano. In quanto simbolo ultraterreno, allegoria vivente di una realtà più grande ed ineffabile,
Moby Dick non può essere completamente compresa nel suo significato ultimo né tanto meno sottomessa. La fine di Achab somiglia non a caso a quella di molti personaggi della mitologia greca, accecati dall’hybris e puniti per questo dalla collera degli déi. Allo stesso modo della nave dell’Ulisse dantesco che ha osato il “folle volo”, il Pequod, attaccato dal mostro, affonda in un vortice oscuro e scompare. Al termine di tutto, pochi relitti e un solo superstite galleggiano su un mare pacificato, ma funereo.

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Non stupisce che questo libro abbia lasciato un segno così profondo nel nostro immaginario: essendo la riuscita rivisitazione di un mito eterno, è destinato ad esercitare ancora per molto la sua fascinazione. L’attenzione che tanti artisti (registi, musicisti, e naturalmente pittori come Gino Pellegrini) gli hanno dedicato nel tempo ne è una testimonianza.

 

A questo proposito vi segnaliamo che fino al 22 ottobre sarà visitabile a Palazzo Garagnani di Crespellano la mostra Orizzonti di Gino Pellegrini, che comprende un nucleo di opere intitolato I mari di Achab: “Il mare rappresenta il mistero della natura, il limite che l’uomo non deve valicare” ha scritto il pittore stesso.

L’esplicito riferimento a Moby Dick, la natura che non si deve sfidare e ad Achab espressione di una tracotanza che lo porterà alla rovina, riempie questa serie di riferimenti psicanalitici alla natura umana: è il mare che ci portiamo dentro. Le cornici, costruite con vecchie tavole corrose messe da parte dall’artista, veri “relitti” (come Pellegrini aveva inizialmente denominato questa serie), sono parte integrante di queste opere.

 

La mostra orizzonti

 

Nelle nostre biblioteche puoi trovare:

  • Moby Dick con la traduzione di Cesare Pavese                                                                                           Biblioteca di Castello di Serravalle e Savigno
  • Moby Dick in adattamento per ragazzi                                                                                                         Biblioteca di Castello di Serravalle, Crespellano e Monteveglio
  • Moby Dick, la balena bianca, film del 1956 di J. Huston                                                                   Mediateca di Bazzano e Biblioteca di Crespellano