La sede dell’Ecomuseo ospita una piccola ma significativa raccolta di materiali archeologici provenienti dallo scavo (2006-2007) del sito di Mercatello, che ha messo in luce significative tracce di un insediamento rustico di età romana. Anche se è stata indagata solo una parte del vasto complesso, sono state individuate almeno quattro fasi costruttive (dal I secolo a.C. fino al V-VI secolo d.C.) che indicano un uso residenziale e produttivo del complesso, continuativo nel tempo.

In età repubblicana è attestata la presenza di un piccolo edificio rustico con fondazioni in ciottoli ed alzato in legno e mattoni crudi.

Nel I secolo d. C. l’edificio si amplia con la creazione di una pars urbana, ad uso residenziale del dominus, cui si affianca una pars rustica, con vani, in gran parte porticati, adibiti alla conservazione degli alimenti (granaio). Un incendio di vaste proporzioni distrusse in larga parte gli alzati di questo complesso, come dimostrano le tracce di cereali carbonizzati sparsi intorno. Una nuova fase durante il III secolo d.C. è attestata da pavimenti in cocciopesto e da un settore, con adiacente cortile, adibito allo stoccaggio di derrate alimentari.

La profonda crisi che caratterizzò tutto il mondo antico nel III secolo pare leggersi anche nell’ultima fase di vita del sito di Mercatello: il complesso mostra infatti una profonda contrazione dell’impianto. Mentre il granaio diventa spazio abitato, come dimostra la presenza di un grande focolare, la pars urbana viene trasformata in area adibita alle attività produttive e di trasformazione.

 

I reperti

I dolia: Nell’ultima fase di vita del sito, un vasto settore dell’insediamento fu trasformato in area produttiva. Lo scavo ha messo in luce una piccola fornace per la produzione di ceramica, una vasca isolata in opus signinum per la decantazione dell’argilla e un turcularium. Di tale impianto, utilizzato per la produzione del vino, resta la base del torchio (in ciottoli e copertura isolante in coccio pesto) e il dolio, quasi completamente interrato per facilitare le operazioni di raccolta dei liquidi derivati dalla spremitura. Dal torchio ligneo, di cui non rimangono tracce, si dipartiva una canaletta, costituita da coppi di reimpiego, che agevolava il flusso del liquido all’interno del dolio.

Il dolio, rinvenuto in situ in ottimo stato di conservazione, rientra nella categoria di quelli di più grandi dimensioni. La sua capacità è stata calcolata attorno ai 1000 litri, equivalenti a circa 40 anfore (1 amphora = litri 26 circa), una capacità che evoca i grandi contenitori di 40 e anche 50 anfore citati da Catone e Columella e destinati prevalentemente a contenere vino e, a volte, anche granaglie. Il particolare contesto del dolio di Mercatello ne implica un utilizzo come contenitore per vino. Come accade di frequente nei contenitori di così grandi dimensioni, realizzati senza l’uso del tornio, anche questo dolio subì un collassamento laterale ancor prima della cottura, cui si ovviò con l’infissione di grappe e risarciture in piombo, chiaramente visibili.

Molto grande doveva essere anche il dolio più antico, cui era pertinente il frammento reimpiegato all’interno del grande ambiente con focolare dell’ultima fase di vita del complesso. L’importanza del frammento è costituita dalla presenza di un numerale inciso sulla parete esterna prima della cottura riferibile, con ogni evidenza, ad una misura di capacità di 42 amphorae, come suggeriscono il numerale X (10), parzialmente conservato, seguito da una T capovolta con apici allungate (50), e dal numerale II (2). L’utilizzo della T capovolta, che riprende il simbolo etrusco indicante il numero 50, prima della evoluzione in L (il numero 50 romano), denota una certa arcaicità e permette di datare il dolio entro il I secolo d.C. 

La macina: in un lato del vano adibito a granaio (distrutto nel III secolo da un incendio) è stata trovata parte di una macina in trachite di ridotte dimensioni: della macina resta solo la base, di forma troncoconica (meta) con foro centrale per l’inserimento del perno di rotazione della parte superiore della macina (catillus). Si tratta di una macina del tipo manuale girevole (mola trusatilis), attestata nel mondo romano già nel III secolo a.C., di uso prettamente domestico e mono-familiare, sostituita successivamente da quella, di dimensioni maggiori, a trazione animale (mola asinaria).

Il campanaccio: sul pavimento in battuto del settore produttivo dell’impianto è stato ritrovato un campanaccio in bronzo (tintinnabulum) che, ieri come oggi, doveva pendere dal collo delle bestie per segnalarne il movimento. Questo oggetto indica la presenza di bovini, utilizzati nelle operazioni di aratura o di semplice traino.

Gli attrezzi: se i numerosi coltelli in ferro (culter) restituiti dagli ultimi strati di vita del complesso non possono ritenersi di uso esclusivamente agricolo, i due esemplari con codolo desinente in anello di sospensione riconducono a spazi interni di uso rustico, quali stalla o magazzino.

Strettamente legati all’agricoltura sono invece con ogni evidenza il falcetto e la zappa. Il primo, rinvenuto nel grande ambiente con focolare, poteva essere utilizzato sia per la falciatura dei cereali coltivati sia per operazioni di potatura e soprattutto per la falciatura dell’erba (falx faenaria). In ottimo stato di conservazione la zappa (ligo) che poteva essere utilizzata per sradicare arbusti o erbacce, per spezzare le zolle dopo l’aratura e per interrare le sementi.

La fistula: un vasto settore dell’insediamento che nell’ultima fase di vita del sito fu trasformato in area produttiva, era in precedenza adibito a residenza del dominus: quest’area era dotata  di pavimenti in coccio pesto e ambienti forniti di acqua corrente, come dimostra il rinvenimento di fistule di piombo, condutture funzionale al trasporto dell’acqua.

L’archeobotanica: è la scienza che si occupa dello studio dei reperti vegetali sia macroscopici, quali frutti/semi, legni e carboni, sia microscopici, come pollini o spore rinvenuti nei siti archeologici  per ricostruire la vegetazione e l’ambiente delle epoche passate. Le analisi effettuate sui campioni archeobotanici di Mercatello hanno permesso di ricostruire alcuni aspetti sia del paesaggio vegetale e ambientale sia delle abitudini alimentari in età romana. Gli antichi abitanti dell’insediamento dovevano seguire una dieta molto ricca e variegata: il consumo di cereali (avena, orzo, grano tenero, farro e spelta) e legumi (fave e cicerchie) era molto diffuso, abbinato all’impiego di Graminacee e Cicorioidee spontanee, e a frutta, sia carnosa che secca (abbondanti i reperti di mela e noce). L’alta presenza di vinaccioli e di interi acini carbonizzati di Vitis vinifera conferma operazioni di produzione e lavorazione dell’uva e il consumo del vino, probabilmente allungato con acqua, secondo il costume romano.

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