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Gli approfondimenti della Linea del tempo

 

Gli approfondimenti delle mappe

 

Gli approfondimenti della Linea del tempo

 

Pannello 1

APPROFONDIMENTO al 1116

Un’ipotesi è che il conte Milone abbia cercato di cedere in maniera fittizia una parte del principale castello, da cui prese il nome la stirpe, e degli altri più importanti per stornare l’interesse del Comune di Bologna verso una famiglia nobile che cominciava ad essere una minaccia per il comune stesso. Oppure – anche questa ipotesi non è improbabile – Milone associava nel possesso del castello cruciale della dinastia e centro del comitato alcune persone bolognesi che avrebbero potuto favorirlo nel suo inserimento in città. Una nuova ipotesi – forse la più probabile – è che con questa donazione Milone intendesse istituire e dotare il ramo di Montasico della casata. Matilde sarebbe stata un tramite per legare i conti di Panico ad una famiglia cittadina molto potente e di simpatie ghibelline come i da Carbone o Carbonesi.

 

APPROFONDIMENTO CONTI DI PANICO

I conti di Panico derivavano la loro autorità e il loro potere nella montagna bolognese da concessioni imperiali e in particolare dal diploma di conferma emanato a loro favore nel 1221 dal vicario imperiale Corrado di Metz, a nome dell’imperatore Federico II. Grazie a questo diploma detenevano il possesso e il diritto di giurisdizione signorile nel comitato di Panico, che comprendeva castelli e abitati nelle medie valli del Reno, Setta, Sambro. I conti però erano una stirpe molto più antica: il primo a dirsi conte di Panico, Alberto, è ricordato fra il 1068 e il 1099 ed era figlio di Guido ricordato come conte di Bologna nel 1055. Dalla stessa stirpe signorile dei conti di Bologna (oggi chiamati Hucpoldingi dal nome del capostipite Hucpold) derivarono anche i conti Alberti, che quindi furono consorti dei conti di Panico e si divisero con essi il dominio della montagna fra Bologna e la Toscana. I conti di Panico nell’XI e XII secolo ebbero possessi e diritti feudali e signorili in Romagna, in Casentino, nel Pistoiese e nella città di Firenze.

 

 Pannello 2

APPROFONDIMENTO al documento 1225

Le note salienti del documento sono queste:

Ego quidem domina / Gilia filia quondam Piçoli de Monte Severio uxor domini Uberti eo presente e consenci/ente vendo et trado tibi iure proprio Homodeo de Santa Trinitate recipienti procuratorio / nomine pro predicta ecclesia Sancte Trinitatis peciam unam terre aratorie posita in curia Videgeti / in loco qui dicitur Poçolo de Laigonum a la Opletha confines cuius hii sunt: a mane possidet dominus / Ubaldinuçus a meridie ecclesie Sancte Lucie a sero predicta ecclesia Sancte Trinitatis vel si qui alii / sunt confines…

Il notaio Guglielmo di Savigno trascrisse la carta originale per filo e per segno, senza diminuire o aggiungere niente, se non forse una sillaba o un punto– ammette.

APPROFONDIMENTO

Questa pergamena ed altre tre simili per età e per caratteristiche esteriori e di contenuto furono ritrovate nel 1950 abbandonate nello scalo merci ferroviario di Schwerin (già Repubblica Democratica Tedesca) e furono affidate al locale Archivio. Riconosciute come bolognesi, sono state consegnate nel 2004 all’Archivio di Stato di Bologna, che conserva la parte moderna dell’archivio dell’abbazia di Santa Lucia di Roffeno. L’11 dicembre 2015 le pergamene sono state infine ricongiunte alla documentazione antica dell’abbazia all’interno del fondo Talon Sampieri della Biblioteca dell’Archiginnasio.

 

Pannello 3

APPROFONDIMENTO AL DOCUMENTO 1223

Nel Medioevo i monasteri benedettini ospitavano spesso i conversi, persone, a volte coniugate, che donavano i loro beni alla comunità per averne protezione e in cambio prendevano gli ordini minori, che non prevedevano il celibato. Ai conversi erano affidati i lavori manuali ma anche i rapporti con l’esterno. Per questo in molti casi i contratti della Santissima Trinità vengono conclusi da conversi.

 

 Pannello 4

APPROFONDIMENTO

A partire dai primi anni della sua vita il Comune di Bologna si formò un territorio dove esercitare l’autorità pubblica. Proprio nel 1123, infatti, pochi anni dopo la sua nascita nel 1116, iniziarono le alleanze e sottomissioni che portarono alla formazione del territorio politico e giurisdizionale della città di Bologna, in un processo fatto di alleanze e sottomissioni di nobili locali e di comunità organizzate. Dopo che l’imperatore Federico I nel 1183, nella località di Costanza, nella Germania meridionale, fu costretto dai comuni italiani federati nella prima Lega Lombarda a fare concessioni politiche e giurisdizionali, anche il Comune di Bologna prese ad organizzare le sue conquiste territoriali in una amministrazione razionale e completa.

 

 Pannello 6

APPROFONDIMENTO

La società delle Traverse era una società d’armi che aveva sede nel quartiere di porta San Procolo: queste associazioni di atti alle armi erano componenti essenziali dell’esercito popolare. I loro aderenti dovevano essere di sicura fede guelfa, formavano schiere particolarmente compatte, rafforzate dalla partecipazione a riunioni in cui si esercitavano con le armi ed eventualmente con i cavalli per combattere. In battaglia seguivano il gonfalone della propria società e formavano le schiere più bellicose e salde.

APPROFONDIMENTO

Le società d’arti riunivano tutti gli artigiani titolari di bottega e servivano per regolare il loro lavoro, per la mutua assistenza fra i soci, per regolare le controversie fra gli aderenti all’arte e con altre corporazioni. Con l’avvento del regime popolare a Bologna nel 1228, e sempre più nei decenni seguenti, lo stretto rapporto fra le arti e il “popolo”, cioè le classi sociali di artigiani, commercianti, banchieri e notai, fece delle corporazioni un organismo costituzionale atto a controllare e a condizionare tutte le principali magistrature cittadine, non consentendo pienezza di diritti politici a chi non fosse regolarmente iscritto ad un’arte.

 

 Pannello 8

APPROFONDIMENTO AL TESTO DEL 1376

Nacque quindi la nuova podesteria di Savigno, che comprendeva tutta la parte di montagna a sinistra del Reno: vi furono comprese le comunità di Savigno, Rodiano, Prunarolo, Vedegheto, San Chierlo, Montepolo, Monte Severo, Gavignano, Montepastore, “Ripamagliaria”, Vignola de’ Conti, Tolè, Montasico, Lagune e Samoggia.

 

 Pannello 9

APPROFONDIMENTO AL TESTO DEL 1528

I cosiddetti Frati Gaudenti si chiamavano in realtà Cavalieri di Santa Maria Gloriosa. I fondatori di questo ordine cavalleresco, che si proponevano di sedare le lotte di parte fra guelfi e ghibellini, Loderengo degli Andalò e Catalano Catalani, furono posti da Dante Alighieri nell’Inferno fra gli ipocriti perché in realtà favorivano copertamente i guelfi.

 

Pannello 11

APPROFONDIMENTO AL TESTO DEL 1764

Giovanni Giacomo Dotti (Bologna, 1724-1799?) era il figlio di Carlo Francesco, capomastro e architetto della basilica di San Luca a Bologna, del portico nella parte di montagna e dell’Arco del Meloncello. La sua formazione avvenne sotto la guida del padre e nel 1748 fu ufficialmente nominato aiutante di quest’ultimo che ricopriva la carica di architetto del Senato. Dopo la morte del padre nel 1759 ne ereditò gli incarichi. Nel 1761 era iscritto fra i periti pubblici come perito in architettura, agrimensura e agricoltura. Nel 1761 fu architetto di Munizione e in questa veste ricostruì il terzo piano del Palazzo di Re Enzo. Come architetto del Senato al servizio dell’Ufficio Acque e Strade nel 1774 visitò tutte le comunità del territorio bolognese per compilare la descrizione delle strade e stradelli, a cui allegò in molti casi anche la pianta del territorio della comunità. Nel 1788-1790 partecipò come perito agrimensore per l’Assunteria di Confini alla definizione dei confini del territorio bolognese nella parte montana. Fra il 1776 e il 1787 e poi fra il 1790 e il 1792 ebbe la carica di architetto d’Ornato, occupandosi delle violazioni del suolo pubblico e delle richieste dei privati di occupazione del suolo pubblico. Il suo ultimo lavoro conosciuto, svolto nel 1799 per l’Imperial Regia Reggenza Austriaca, fu la descrizione e misurazione completa del Palazzo Comunale e dei Palazzi del Podestà, Re Enzo, Rota e Capitano del Popolo.

 

 Pannello 13

APPROFONDIMENTO AL 1843

In seguito tuttavia i rivoltosi fuggono da Savigno e nei giorni successivi vagano sull’Appennino: il 16 sono a Lagune, il 18 agosto 1843 giungono a Monte Pastore, il 30 si trovano a Calderino di Monte S. Pietro. In seguito i rivoltosi vengono dispersi e la rivolta sedata. Sono i primi segnali nel nostro territorio dei moti che portarono all’unificazione d’Italia nel Regno d’Italia.

 

 Pannello 15

21-24 giugno 1944 azione partigiana alla Croce delle Pradole, rastrellamenti ed esecuzione a Vedegheto del partigiano Francesco Calzolari

Il 21 giugno 44 un gruppo di partigiani della brigata Stella Rossa, operante sotto la direzione di Cleto Comellini (Tito) nella zona di Croce delle Pradole, intercetta una camionetta del comando di divisione tedesco e nel conflitto a fuoco ne uccide gli occupanti: un maggiore, un tenente e due soldati. Con l’aiuto dei contadini del luogo e del frate cappuccino padre Samuele Sapori, i cadaveri dei tedeschi e l’automezzo sono seppelliti in un bosco vicino, occultati allo scopo di evitare rappresaglie contro i civili. I militari tedeschi trasportavano importanti documenti, tra i quali piani dettagliati delle fortificazioni previste sulla Linea Gotica (Verde II), che vengono subito trasmessi dai partigiani ai comandi alleati tramite un ex prigioniero inglese aggregato alla Stella Rossa. Questa operazione riceverà un encomio dal generale Alexander, comandante delle truppe alleate (1).

“Il giorno seguente inizia il rastrellamento e in piazza a Montasico avviene uno scontro con i tedeschi: un sodato e due “ribelli” rimangono uccisi, mentre un terzo partigiano, Francesco Calzolari riuscirà a fuggire seppur ferito, verrà comunque catturato due giorni più tardi sul Monte Vignola. Lo stesso giorno vengono uccisi Angiolini su Monte Severo e Rubini nel territorio di Monte San Pietro. Il giorno 24 giugno, mentre la “Stella Rossa” si sposta su Monte Sole, i militi della Gnr, a cui più tardi si uniscono anche i soldati tedeschi, attuano un rastrellamento nella zona di Monte Vignola (Venola e Luminasio di Marzabotto e Montepastore). Le direttrici del rastrellamento sono due: la prima sale da Marzabotto, l’altra parte da Tolè di Vergato, entrambe hanno come punto di congiunzione la cima di Monte Vignola.

Qui viene incendiata la casa del Monte (quella posta più in alto e che aveva ospitato i partigiani). A Montepastore vengono uccisi due civili: Belletti e Supini, quest’ultimo nelle Varsellane. A Luminasio un anziano, Pedretti, muore per la paura del rastrellamento. Da Monte Vignola la colonna scende a Vedegheto; alle Bedoste viene ucciso Zagnoni e la sua casa viene incendiata; a Ozzano, i militi entrano in una casa che trovano vuota, in quanto i proprietari sono intenti al lavoro nei campi, ma lo stesso la incendiano e prelevano i maiali”. (2).

Al Mulino di Vedegheto i soldati sostano per qualche tempo e lì sul ponte il 24 giugno portano il partigiano diciottenne Francesco Calzolari che avevano catturato, ferito, lo interrogano e torturano, ma poiché non parla prima decidono di impiccarlo ad un albero, la corda però si spezza e quindi lo uccidono con una raffica di mitra. Il corpo del giovane rimarrà insepolto per tre giorni. 1 Una lapide sul luogo dell’uccisione ne ricorda il sacrificio. “Nel frattempo vengono rastrellate una quarantina di persone tra Luminasio, Montepastore e Vedegheto e rinchiuse in una stanza dello stesso Mulino. Il parroco, avvertito da alcune persone, accorre e riesce a far liberare tutti tranne cinque o sei renitenti alla leva che vengono inviati prima a Bologna e poi in Germania. Nel tardo pomeriggio la colonna riprende il cammino e scende lungo la strada che conduce a Pian di Venola, quando, giunta in località Spuzzagli, i partigiani tendono un agguato, che non crea particolari danni, ma l’azione dà lo stesso avvio a un rastrellamento della Gnr; durante il rastrellamento vengono catturati quattro civili: Benini padre e figlio, Grilli e Raimondi, che vengono fucilati. Durante l’operazione vengono incendiate delle case, catturate delle persone che subito sono trasferite a Bologna.” (2) Don Giovanni Fornasini (1915-1944), parroco di Sperticano, si adopera con successo presso i comandi tedeschi per la liberazione degli ostaggi condotti a

Bologna, poi va con un carro al municipio di Marzabotto, ritira alcune bare e provvede a seppellire i “quattro innocenti antifascisti” passati per le armi a Pian di Venola.(1)

Nel dopoguerra a Francesco Calzolari e a don Giovanni Fornasini sarà assegnata la Medaglia d’Oro al Valore Militare, così come al capo-brigata “Stella Rossa” Mario Musolesi (Lupo) e al partigiano sedicenne Gastone Rossi. Quattro grandi lapidi agli angoli della crociera nel Sacrario di Marzabotto ne ricordano le motivazioni.

 

1 Biblioteca Sala Borsa bologna.on line Cronologia di Bologna dal 1796 ad oggi

2 http://www.straginazifasciste.it Episodio di Vedegheto, Valsamoggia (Savigno), 23-25.06.1944 compilatore TURCHI M

 

Pannello 17

APPROFONDIMENTO alle vie di comunicazione

LA VIA CASSÌOLA O PICCOLA CASSIA O VIA LONGOBARDA

Questa strada medievale, definita da Arturo Palmieri alla fine dell’Ottocento “via del confine bolognese-modenese”, è stata anche chiamata recentemente con intento turistico Piccola Cassia o via Longobarda: queste definizioni illustrano una caratteristica della strada, di segnare per lungo tratto il confine fra i territori di Bologna e di Modena, e di essere stata tracciata e attrezzata dai sovrani longobardi, nella fattispecie Astolfo, a metà dell’VIII secolo con la costruzione di monasteri, abbazie e ospitali per viaggiatori. Fu il cognato del re, il duca Anselmo, da condottiero di uomini fattosi guida di monaci, a fondare dapprima il monastero di San Salvatore di Fanano nel 750 poi l’abbazia di San Silvestro di Nonantola nel 751-752, ponendo i suoi monaci benedettini a formare un “confine vivente” fra la civiltà longobarda a ovest e quella bizantina a est, ma istituendo insieme un importante tramite viario fra il nord e il sud della catena appenninica. In pianura la strada presentava diversi percorsi: chi giungeva da Verona poteva attraversare il Modenese e toccare Nonantola; chi giungeva da Padova toccava Cento e San Giovanni in Persiceto. I due percorsi giungevano alla via Emilia in due punti diversi: la variante più comoda per i Modenesi al ponte di Sant’Ambrogio, l’altra per i Bolognesi al ponte Samoggia. Da qui la via Nonantolana toccava San Cesario, la Persicetana arrivava a Piumazzo, ma poi il loro percorso cominciava a convergere sulla via Predosa (attuale Vignolese) e su Bazzano per raggiungere il crinale fra Samoggia e Panaro. Giunta sul crinale del Samoggia, la strada passava presso il castello di Monteveglio, toccava la chiesa della Santissima Trinità di Prato Baratti (Savigno), quindi saliva a Tolè e a Santa Lucia di Roffeno. Il percorso toccava poi Castel d’Aiano, Semelano, Pietracolora, Bombiana, Gaggio Montano, Rocca Corneta e Fanano. Risaliva poi la Val di Lamola, incontrando l’ospitale e la chiesa ancora esistente di San Giacomo nella borgata di Ospitale, passando il crinale appenninico probabilmente al passo della Croce Arcana verso Cutigliano o al passo della Calanca verso San Marcello Pistoiese.

APPROFONDIMENTO – LA VIA DEL RENO PER PISTOIA

La via che da Bologna conduceva a Pistoia dai Bolognesi era chiamata strada maestra di Saragozza, mentre a Pistoia era conosciuta come strada Francesca della Sambuca perché conduceva in Francia. Il suo percorso seguiva il fiume principale del Bolognese, il Reno, restando sull’ampio terrazzo fluviale della riva sinistra, non molto lontano dalla strada attuale. La presenza della città etrusca di Marzabotto attesta a sufficienza l’importanza di questa direttrice viaria e vari indizi attestano anche che in età romana restò uno degli assi portanti della viabilità transappenninica: ad esempio la presenza del taglio di roccia della rupe del Sasso, un tipico manufatto dell’ingegneria romana. La strada, dunque, toccava Casalecchio con il suo ponte, punto cruciale dell’attraversamento del Reno, poi seguiva sempre il fiume toccando Pontecchio e giungeva al Sasso, punto strategico fondamentale perché domina la media valle del Reno e l’imbocco della val di Setta. La strada si manteneva poi a mezzacosta, toccando la pieve di Sant’Apollinare di Calvenzano e Vergato. Dopo Porretta la strada, non potendo superare la strettoia della Madonna del Ponte, saliva in cresta e toccava la pieve di San Giovanni Battista di Sùccida, oggi Borgo Capanne, poi proseguiva lungo la valle della Limentra occidentale verso Sambuca e il passo della Collina.

 

 Pannello 18

Tradizioni, ritualità, credenze nella comunità di Vedegheto e alcune curiosità riguardanti il territorio

Dalle testimonianze orali raccolte sono emersi racconti significativi circa le festività religiose, molto sentite in paese, quali: San Pietro Martire, un tempo festeggiata il 29 aprile, che raccoglieva molte persone anche dai dintorni perché veniva distribuito l’ulivo benedetto che, posto nei campi e bruciato se minacciava tempesta, si credeva avesse il potere di fermarla e proteggere i raccolti; Il Corpus Domini con i suoi addobbi; le festività mariane a settembre e poi la Festa dei Reduci divenuta successivamente Festa dei Giovani. Delle festività religiose si sono trascritte molte testimonianze a partire dalle foto che documentavano le affollatissime processioni (video testimonianza di Silvana Suppini) 

Tra le feste non a carattere religioso si ricorda la fiera del bestiame, lungo le vie del paese. (testimonianza orale di Bianca Rossi) 

Sono inoltre state riportate diverse leggende e credenze, pezzi di storia orale, affiorate invece in occasioni diverse, che in parte ritroviamo nelle testimonianze videoregistrate. 

Ricordiamo in particolare quella molto citata del castagno de profundis, un enorme esemplare di castagno situato un tempo in cima a via Olara, all’incrocio con via Serre, che spaventava chi vi passava accanto. Questo perché si credeva fosse abitato da qualche spirito maligno che lo faceva sospirare ed emanare strane luminescenze o, in altri casi, aggredire e bastonare chi passava da quelle parti, al punto che “neanche il prete voleva andare a benedirlo, tanto faceva paura “(testimonianza orale di Gemma Bedonni, 85 anni). A parere di molti questa credenza serviva a disincentivare l’allontanarsi da casa dei più giovani. 

La zirudela della storica rivalità campanaria tra Vedegheto e Tolè, un testo ricco, ironico declamato a memoria, senza incertezze, dalla splendida novantaquattrenne Elide Betti (v. video testimonianza). Zirudela dal Campèn (composta nel 1879 in occasione del rifacimento della chiesa di Tolé e della posa di nuove campane, Stefano Muratori in Al Sàs, n.16). 

La leggenda del sasso del frate, al sas de frà, sasso situato nei pressi della località Porcinasio, oltre il campo detto i spen ed locca, che riporterebbe l’impronta delle ginocchia di un frate penitente (v. video testimonianza di Antonio Dondarini) 

La grotta delle fate, presso il Monte Vignola, con il suo velo luminoso (v. videO testimonianza di Anna Boni). v. Samodia n. 12 testo di Giuseppe Iannini. 

Il boato improvviso che si avverte in località i Piani, quando piove copiosamente, e che incute soggezione e stupore ad un tempo, per il fatto che sgorga in più punti acqua limpida e abbondante, “inghiottita” subito dopo dalla terra (testimonianza orale di Valerio Verati). 

Questo curioso fenomeno è noto da tempo e fu descritto a metà ‘800 da L. Ruggeri in “Le chiese parrocchiali della diocesi di Bologna, …”. Di recente G.Iannini ha riportato la testimonianza di Dante Lolli, il quale gli indicò il Fossone, nei pressi del Rio Calanco, come il luogo dove si verifica l’evento (Samodia n°16). 

I vulcanelli di fango, o salse, sono un altro fenomeno curioso e interessante dal punto di vista geologico. Luigi Bombicci in Montagne e vallate nel territorio di Bologna (1882) scrive di “trabocchi fangosi presso Vedegheto sul torrente Venola”. Attualmente non se ne ha traccia e nemmeno testimonianza orale. Solo un toponimo li ricorda: Sarse nei pressi di Ronchesano, Ca’ di Costa, Casello. 

E’ stata poi documentata la storia di un’apparizione della Madonna nel 1897 a Vedegheto, di cui esiste in Archivio Parrocchiale il Carteggio, datato maggio 1899, con la richiesta di riconoscimento dell’evento miracoloso, che non pare abbia avuto seguito.

 

 Pannello 19

L’archeologia contemporanea studia e permette di andare al recupero di tutto ciò che ha fatto parte della vita materiale ed esistenziale di chi ha vissuto e conserva la memoria di un passato recente: le botteghe, le fabbriche, gli opifici, le osterie, i luoghi di posta, i mulini, i forni, le case e i loro abitanti, gli inventari dotali, gli arredi, gli utensili, i cammini e la viabilità storica….

I mulini. Dal XVI sec. diventano sempre più numerosi. A Vedegheto e dintorni, ancora funzionanti, sono quello delle Rovine (costruito ex novo perché distrutto dai tedeschi) e il molino del Dottore. Il rio Venola è uno dei più sfruttati dal punto di vista idraulico. Lungo il suo corso se ne contavano una decina: di Pian di Venola, Gabellina, Meladello, Torrebianca, Trombe o Magarolo, di Vedegheto, della Burga, delle Rovine, Cozza, del Dottore (più quello di Poggio, Palmero, Palmiro o Palmusso, in località sconosciute, forse in luogo Castellaro, citato da Iannini in Samodia n°16). A questi si aggiungevano i mulini da olio di noce, ad acqua (Ollara) e a trazione animale (Rodiano).

Le fornaci. Ad integrazione delle attività agricole si svilupparono numerose anche attività legate alla produzione di mattoni, tegole e calce, ma anche di pignatte e tegami di coccio, grazie alla grande disponibilità di argilla (terra pignattara).

Le osterie erano i luoghi d’incontro e socialità.

Le botteghe rifornivano di tutti quei beni essenziali, che non si potevano autoprodurre, come il sale, indispensabile per conservare le carni e altri alimenti.

I mestieri: il sarto, il fabbro e maniscalco, il falegname, gli aggiustarobe come materassai, scranér, concialavez, etc.

Il lavoro dei campi, nel bosco, per far legna, raccogliere castagne. Il castagno era considerato l’”albero del pane”. Le viti venivano “maritate” a tutori vivi, in genere peri e meli, o gelsi, le famose piantate, secondo l’uso etrusco e romano. Per tutto il Medioevo la valle del Reno fin verso Vedegheto fu coperta di oliveti. Tra le colture introdotte già allora si trova citato anche il lino, in alternativa alla canapa, il gelso, l’albero d’oro del fondo, e la robbia, che produceva una sostanza colorante rossa. Inoltre in zona si coltivava la paveria, “pavira” in bolognese, per impagliare sedie ma soprattutto per fare stuoie, che servivano nell’allevamento dei bachi da seta. E anche il vimini (salci da vinciglia) con cui si usava legare le viti e fare ogni sorta di cesto o contenitore (burga).

 

 

Gli approfondimenti delle mappe

 

La misurazione della terra e gli strumenti

Gli agrimensori misurano fin dai tempi antichi, la terra per ragioni prevalentemente militari o per gli estimi delle grandi proprietà terriere. Questi misuratori si servivano degli squadri agrimensori e più anticamente dell’archipendolo e della groma.

La groma è nota sino dagli egizi e viene utilizzata dagli etruschi e largamente dai romani che hanno svolto in modo sistematico l’attività agrimensoria, oggi chiamata topografia dal greco “topos”(luogo). La groma è un semplice ed efficace strumento composto da due bracci di legno di egual misura e uniti a croce nel mezzo. Alle quattro estremità altrettanti filo a piombo, il tutto montato su un treppiede. Con essa era possibile determinare l’orizzontalità e l’ortogonalità delle linee.  Per determinare le inclinazioni del terreno veniva invece usata la libra o livella.

Le distanze fra due o più punti venivano e vengono misurate attraverso la trigonometria che vale per la navigazione, le costruzioni, l’idraulica, l’elettromeccanica.

Le triangolazioni si attestano su punti irremovilbili sul terreno come gli spigoli delle case o delle torri, dei campanili o le cime delle montagne. Con la triangolazione geodetica è possibile misurare i punti visibili e raggiungibili, ma anche quelli invisibili oltre le colline o inaccessibili come i burroni.

In tempi più recenti, all’inizio del 1600 venne brevettato il cannocchiale, poi il teodolite, il tacheometro e in epoca moderna, lo strumento ottico digitale. Attualmente per la misurazione della terra ci si serve della fotogrammetria aerea e di un sistema satellitare per la navigazione terrestre, marittima ed aerea, come GNSS o GPS.

Fonte: V.Calzolaio-Corso di Topografia per la scuola per geometri

 

L’agricoltura in montagna e la sistemazione agraria

L’agricoltura della montagna e dell’Appennino, è stata per lungo tempo il perno della vita delle numerose famiglie che abitavano le colline, assieme agli animali allevati per lavorare i campi e per dare carne, uova, latte e formaggi. Per la orografia del territorio di Vedegheto, anticamente i campi venivano lavorati prevalentemente a zappa, a piccone e con le bestie. Le pietre che emergevano dalla terra venivano accumulate al centro del campo o sotto gli alberi isolati per essere  successivamente recuperate per l’utilizzo nelle costruzioni. Le borgate erano raggiungibili a mezzo di sentieri e camminamenti stretti e ripidi, con chiaviche e ponticelli di legno per superare i fossi. Oggi i campi si arano con macchinari a motore e i sentieri sono stati sostituiti da strade inghiate dapprima e asfaltate poi. I campi disegnavano un paesaggio oggi non più riconoscibile fatto di filari, fossi e scannafossi. La sistemazione del terreno teneva conto delle pendenze come il cavalcapoggio, girapoggio, rittochino (quest’ultimo è fatto di filari disposti lungo la massima pendenza). Si tratta di sistemazioni idraulico-agrarie nate per regolare la portata dei corsi d’acqua e difendere i versanti delle colline e delle montagne dall’erosione, dalla perdita di suolo e dal rischio idrogeologico.

“Con l’abbandono delle campagne e l’intensificazione colturale dell’agricoltura moderna, le tracce delle storiche sistemazioni idraulico-agrarie sono quasi scomparse. All’improvviso tutto cambiò: a partire dalla metà del Novecento la mezzadria[1] scomparve e fu così che le campagne persero forza lavoro e capacità di svolgere lavori complessi e molto faticosi. Le zone rurali meno produttive si spopolarono, le persone si spostarono in città e molte aree un tempo coltivate videro il ritorno del bosco. Giunsero i trattori e le macchine agricole, le produzioni incrementarono e si imposero nuovi sistemi e tecniche agricole, come l’uso dei fertilizzanti chimici.

La “nuova” agricoltura richiedeva superfici grandi e facilmente accessibili. Le vecchie sistemazioni, i terrazzi e i ciglioni cedettero il passo a superfici e versanti con pendenze uniformi, facilmente transitabili. Fu così che la produttività aumentò, i costi di coltivazione e produzione diminuirono, ma si ripresentarono i fenomeni erosivi, i calanchi e le frane”.[2]

[1]-La mezzadria scompare nel 1964 con apposita legge.

[2]”-Parti tratte da: RADAR Magazine e testo di Alessandra Biondi Bartoli

 

Estimi borgate, torri, molini – 1634-1875

anni 1634 -1835

Gli estimi elencano i possedimenti dei proprietari di casamenti e  le “petia ” o “pezza” di terra.  Sotto lo stesso proprietario sono censiti i diversi possedimenti sparsi nel territorio, con il nome della casa, i confinanti, il valore in corbe delle coltivazioni, la rendita dei raccolti, al fine di applicare le tasse. Di ogni periodo storico è stata estrapolata la descrizione dei casamenti nell’arco temporale che và dal 1634 al 1835. Emergono i passaggi di proprietà nel tempo e il censimento più o meno dettagliato delle singole borgate, delle torri, colombaie e molini. In questo lasso di tempo sono presenti a Vedegheto 68 fra borgate e case isolate.

Lo studio degli estimi descrittivi ha riguardato solamente Vedegheto e non Montasico.

Di seguito un esempio di estimo del contado del 1540-1605-1672-1750 e una descrizione relativa  ai Piani, rappresentativa degli estimi della borgata.

 

ESTIMO DEL CONTADO-COMITATO DELLE TASSE DEL 1540

 

In nomine domine nostri jesu christi

Amen…………………………………………

Antonius quon (del fu) Petri

Franciscus, Jacobus filij dicti Antonij

Thomas Hercules quon (del fu) peregrini nepotes dicti Antonij

habent et possidet

Medietatem una domus muratj coperte a lastris con  medietate unius Arre in loco ditto al poggio confina se ipsos, heredes Xristoforum usupini a  lateribus, estimata libris trigenta= 30

Una petia terre laborativa vidate beduste ruinose tornature sei, in loco predetto,  “confina”una via publicam , gli heredes di Xristofoum usupini e una ruina, libris sesaginta=60

Mediam tornature terre in loco dicto ozan, confina heredes xristofori usupini, e ruina justa heredes francisco jacobi e heredes petri scarpetta, libris decem=10

Fonte: Archivio di Stato di Bologna -Ufficio estimo del contado-Serie I- busta 15- anno 1521-1540

 

ESTIMO DEL CONTADO DEL 1605

 

 

Fonte: Archivio di Stato di Bologna-Ufficio estimo del contado-Serie II- busta 179- anno 1605-1672

 

ESTIMO DEL CONTADO DEL  1672

 

Adi..di gennaio 1673

Faccio fede io inscritto Curato della Chiesa parrocchiale di S. Xhristoforo del Vedeghetto

qual..del suo massaro dell’anno passato 1672 havendo prima dato

il solito segno della Campana nel arengo hà publicato il presente campione,

il quale rivisto et aggiustato con l’ultimo fatto dell’anno 1663

dicono gli huomini deputati stare b enissimo con il consenso con tutto il populo

et perciò nessuno del suddetto comune n’hà posto contradizione alcuna

In quorcum fidem  il giorno suddetto festivoIo Costanzo Sandri Curato

 

Fonte: Archivio di Stato di Bologna-Ufficio estimo del contado-Serie II- busta 179- anno 1605-1672

 

ESTIMO DEL CONTADO DEL 1750

 

In Christi Nomen Amen

Campione del estimo dè fumanti del Comune di Vedegheto Contà di Bologna fatto e formato p.Vincti huomini eletti in pubblico Arringo dà Lorenzo Marchi massaro moderno del presente anno 1750 conforme gli ordini degli Illustrissimi signori Assonti sopra le tasse et estimi del Contà di Bologna li quali si sono trasferiti sul fatto ed hanno veduto è considerato tutti gli infrascritti beni essere del seguente valore

Homini eletti

Il Massaro Gio Maria Sandri )

)  Ricchi

Il Massaro Bartolomeo Sandri )

 

Gio del gianfranco Laffi )

)  Mezzani

fabiano del già Domenico Costa )

 

Antonio Pignatta )

)  Poveri

Giacomo Sandri )

Io Gio Supini ho scritto il presente di propria mano

Fonte: Archivio di Stato di Bologna-Ufficio estimo del contado-Serie II- busta 180- anno 1700-1775

ESTIMO DI PIANO o PIANI

anni 1634-1835

 

Dipinto di Nelusco Sarti-1922

 

1634 =NEL TESTO COMPARE UNA TORRE E UNA COLOMBARA

Andrea di simone di sucini dal piano tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto

al piano duoi case attaccati insieme à il suo portico muratj taselatj et cupertj, cò forno corte.

al piano ha una porta di teggia

Herredi di jacomo di lolini dal piano tenono et posiedino al piano duoi case murate tasellate et cuperte, à corti et suoi andavigni mediante li anditi

Heredi di Antonio di Pelligrino munari da montasico tienino  et possedeno  nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano una casa et una mitta dilla tore muratj taselatj et cupirtj, et la parti sua dilla tigia rovinosa et il lidamari

Francesco di Gio sucini dal piano tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano

una casa muratj taselatj et cupirta  cò forno ed una tegia muratj et cupirta

Item[1] in loco ditto al piano una tizza muratj

Ghirardo di Andrea suerij tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano una casa  murata taselatj et cupirta cò forno teggia corti

Tiene in loco ditto al piano mitta dilla tore cò una mezzaria a casa di piedi in vetta , cò una stalla sotta la casa del focho

Tiene in loco ditto al piano una casa  muratj taselatj et cupirta

Nadale di Antonio di suerij  tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano una casa cò la sua colombara murato  taselatj et cupertj, cò il forno corte, et li suoi andavigni , cò la parte sua della teggia di piedi in vetta muratj taselatj et cupertj

Rossa di suero di suerij  tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano una casa muratj taselatj et cupertj, cò corti

Santina figliolla di Parisso (?) di beneditti tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano una porta di casa ruinata

Thomaso di Sr Sforzia di sandri tiene et possede nel Comune di Vedeghitto in loco ditto al piano una casa nuova taselata et cupirta , cò il forno corti andavigni

 

1672=  UNA COLOMBARA E UNA TORRE

Sig Cristofaro et del M.a Monsignore et eccellentissimo e M.a Reverendo signor Dottore Costanzo fratelli e figli del già Bartolomeo de Sandri tenono in loco detto al Piano una casa murata tassellata et coperta col suo forno portico corte et andavigni;

In loco detto al Piano una teggia murata et alquanto dirupata con la sua arra o torre (?) attachata à detta Teggia con la sua corte, andavigni  et una pezza di terra annessa a detta Teggia moreda hortiva vidata et diversi punti arborata.

Andrea del già Simone di Succini tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto il Piano un casamento in piedi in vetta con le sue stalle sotto, murato, tassellato e coperto, con il suo forno, andavegni, corte con una posta del letamaro ed altre giurisdizioni spettanti al detto casamento.

Item in loco detto al Piano una casetta detta la Casella ad uso di teggia..

Item in loco detto al Piano una casa di piedi in vetta, murata e coperta con li suoi andavegni e corte, cioè quella che era di Mro Marco Muradori.

In loco detto al Piano di sotto dalla via, una casa murata, tassellata coperta con i suoi andavigni[2], corte e una posta di forno ruinato.

Benedetto del già Giacomo de Sandri tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una casa murata, tassellata e coperta con la sua teggia attaccata a detta casa con li suoi andavigni e corte spettante a detta casa e teggia con li suoi mori.

Gio del già Gio Matt.o Suppini tiene in loco detto al Piano una casa murata coperta con il forno corte et andavigni con una peza di terra moreda con un piede d’un fico prativa, con un’altra casa attacata a quella di sopra detta la casa del Gallo murata tassellata coperta con quelli mori.

Heredi del già Nadale sueri del piano tengono e possiedono nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano un casamento con la sua colombara murato tassellato et coperto con li suoi andavegni , et corti.

In loco detto al Piano un altro casamento separato da quello sopra notato, murato tassellato et coperto con i suoi andavegni e la corte.

In loco detto al piano la teggia murata coperta attaccata alla casa di Giacinto sueri con la sua ara con un piede di fico appresso a detta teggia con suoi piedi di mori in detta ara appresso Giacinto sueri et quelli di Baldulini.

Giacinto del già Ghirardo sueri –

Giacinto del già Ghirardo sueri tiene e possiede  nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano un Casamento  murato coperto con ara forno andavegni con la sua Teggia.

In loco detto al Piano un’altra Casa murata coperta con li suoi anditi cioè la corte ch’era di fiore Bertuzzi.

 

1726=COMPARE SOLO UNA COLOMBARA

Benedetto del già Gio Giacomo Sandri tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una casa  murata, tassellata, coperta con le sue corti et andavigni.

Bartolomeo del già Natale seueri  tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una parte d’una casa con la sua colombara murata tassellata et coperta con li suoi andavigni et ara.

Gio Andrea del già Natale seueri  tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano  una casa  murata, tassellata, coperta con li suoi andavigni

Inoltre possiede al Piano una stalla sotto alla casa di Gio suo fratello con olmo e il suo lettamaro

Heredi della già maria del quodam Francesco Seueri  tengono e possedono nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una posta d’una casa diruppata

Heredi del già Gio Giacomo Sandri tengono e possedono nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una casa murata e tassellata e con una posta d’una casa ruinata appresso la via  publica

Il Sig D.Domenico del già Andrea Succini  tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una casa murata, tassellata, coperta con il suo portico, forno, corti, andavigni e una casa ad uso di teggia e un altra casa murata tassellata e coperta, cioè quella che era di Matteo Moradori, inoltre una posta d’una teggia diruppata.

Ancora al Piano sotto dalla via, possiede una casa  murata, tassellata, coperta con le sue corti, andavigni

La Maria del già Benedetto Sandri  tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una casa murata, tassellata, coperta con un poco di terreno ortivo

La Domenica del già Benedetto Sandri  tiene e possiede nel Comune di Vedeghetto in loco detto al Piano una casa murata, tassellata, coperta con un poco di terreno d’una scudella incirca

 

1784=NON SONO REGISTRATE TORRI E COLOBAIE

  1. Cristoforo Sivieri curato di Vignola de Conti goduto come proprietario

Pietro Sivieri di Bartolomeo

Marco Succini del fu  Antonio

Cristoforo Sandri di Basilio

 

1835=NON SONO REGISTRATE TORRI E COLOBAIE

Conti Angiola Rosa e Annunziata sorelle di Carlo di Vedeghetto

Lolli Giovanni Pietro e Domenico fratelli qm Francesco di Merlano

Sucini Ant.o Maria e Giacomo fratelli qm Antonio di Ronca

Laffi Alessandro qm Gio di Montasico

Sevieri Sandri Caterina qm Pietro di Vedeghetto

Sevieri Francesco qm Dom.co di Vedeghetto

Sandri Battista e Stefano fratelli qm Francesco e nipote Silvestro qm Romano di Vedeghetto

Venturi Francesco di Vedeghetto

Suppini Maria Teresa qm Giuseppe di Vedeghetto

Laffi Andrea qm Angelo di Rodiano

 

Fonte Archivio Stato di Bologna (ASBO)

Ufficio estimo del contado II-105-Serie II-busta 179 Vedegheto

Ufficio contado estimi-serie II- b 180

Catasto Boncompagni- Brogliardi – VI-419-Serie I, mazzo 53

Catasto Pontificio Gregoriano -IV-421-Serie I-Sommarioni 47-Vedegheto

[1]-Item=inoltre

[2]-Andavigni=adiacenze di spettanza