Intervista a cura di Asia Ugolini

 

È una mattina fredda di febbraio quando per la prima volta stringo la mano ad Erio Carnevali. Siamo alla Rocca dei Bentivoglio dove presto allestiremo “Clessidra. La misura del tempo ritrovato”, una mostra dedicata ad alcune pitture ad inchiostro realizzate in passato e recentemente ritrovate dall’artista.

Dopo pochi minuti, Carnevali è riuscito a farmi entrare nel suo mondo, nonostante sapessi poco della sua storia e della sua carriera. Ma cosa vuol dire entrare nel mondo di Carnevali? Vuol dire immergersi nel colore e nella luce. Significa confrontarsi con un sentimento sublime che può lasciare senza parole. Vuol dire scoprire tante strade possibili per realizzare la propria arte: dal mosaico, alle vetrate, alla pittura, alla scultura pubblica fino al design.

E così anche il senso del ritrovamento assume significati inediti. Ritrovare dei granelli di sabbia della propria carriera che, come in una clessidra, danno i rintocchi al passare del tempo. Confrontarsi di nuovo con le proprie opere del passato per chiedersi da dove si è arrivati e dove si sta andando. Tutte riflessioni condivisibili da chiunque deciderà di visitare questa mostra, visitabile fino al 28 aprile nella sala Ginevra della Rocca dei Bentivoglio.

 

Buongiorno Erio, mi piacerebbe partire dalle sue origini. Cosa può raccontarmi della sua vita da bambino?
Io nasco a Modena nel lontano 1949, in una famiglia di operai. Sono sempre stato fin da piccolo un bambino fragile. I miei genitori nella loro situazione hanno però trovato modo di regalarmi dei colori con cui riuscivo a disegnare e quindi a esprimermi. 

 

Essendo nato in una famiglia di operai, immagino dovesse partecipare al sostegno economico della famiglia?
Proprio così. Ho studiato all’istituto superiore Guarino Guarini a Modena con l’obiettivo di iniziare a lavorare successivamente. Di conseguenza non ho mai potuto frequentare un percorso di studi artistici. 

 

E allora come ci è arrivato al mondo artistico?
Oltre l’Italia, ho a cuore anche altre nazioni come la Francia. Per un po’ andai a vivere nel quartiere du Sacré-Cœur dove nella piazza principale, Place Du Tertre, molti artisti esponevano le proprie opere d’arte per venderle ai turisti. In quel contesto io lavoravo e vendevo silhouette su carta nera. 

Dal 1970 ho avuto occasione di esporre in tantissimi luoghi: Palazzo Diamanti a Ferrara, il convento di San Paolo a Parma, Museo di Milano, Casa del Mantegna e Palazzo Tè a Mantova, casa di Giulietta a Verona . La mostra più importante, per me, è stata quella nella chiesa di San Stae sul Canal Grande a Venezia nel 1989 dove la Rai presentò l’opera acquisita dalla Galleria Internazionale D’Arte Moderna “Cà Pesaro”. 

 

Con quale tipo di tecnica artistica ha iniziato in queste prime mostre?
Tutto per me parte dalla pittura. Una pittura aniconica, dove non ci sono immagini. Ho dipinto molto sfruttando il formato orizzontale e in questo modo legarmi a una spiritualità personale. Pittura che sperimentando mi ha permesso di ricercare una nuova prospettiva basata sul rapporto e la giusta stratificazione di forme e colori differenti.

 

I concetti di ricerca e sperimentazione si intrecciano molto alla sua carriera artistica?
Assolutamente si, per me l’artista oggi deve essere una persona a 360 gradi che non smette mai di ricercare, scoprire e approfondire nuovi mondi dell’arte. 

 

Quali mondi dell’arte ha avuto modo di scoprire?
Negli anni 90\2000 ho avuto modo di dedicarmi a tante modalità espressive: ho prodotto mosaici per l’Ospedale Careggi di Firenze e per quello di Modena; lavori di grafica pubblicitaria per la stazione ecologica Hera Calamita; lastre dipinte per Iris Ceramica. Inoltre ho prodotto due importanti sculture pubbliche: “La Porta Del Lambrusco”, un grande grappolo d’uva fatto di acciaio e vetro di Murano, e “Gea” una sfera fatta di pietra di Vicenza. Entrambe si trovano nel territorio modenese e sono punti di riferimento per i cittadini. 

 

Secondo lei quanto è importante creare nella propria carriera un rete di rapporti con altri artisti?
Per me sono stati fondamentali. Importante è stato il rapporto con l’architetto Paolo Portoghesi che mi ha portato per esempio alla  creazione delle vetrate nella nuova Concattedrale di San Benedetto a Lamezia Terme (Catanzaro). Inoltre ho collaborato anche con Paolo Conte, Vinicio Capossela, Erri de Luca e Giuseppe Pederiali creando stimolanti libri d’arte dove le mie opere si relazionano con poesie, testi scritti e canzoni.

 

Davanti a questa varietà mi chiedo se ci sia qualcosa che accomuna le sue ricerche.
Certo tutti questi lavori, di ambiti e tecniche differenti, girano attorno all’importanza del colore e della luce, sono infatti la mia persecuzione. 

 

Quali sono i suoi artisti di riferimento?
Io ho due artisti importanti a cui mi ispiro, in primis Mark Rothko. Con la sua pittura crea un sentimento sublime che gira attorno a qualcosa che non dipende da noi, mi lascia sempre senza parole. Un effetto che ricerco anche nelle mie opere. Il secondo è Joan Mirò che che un giorno mi svelò un modo tutto suo di preparare gli sfondi delle pitture.

 

Parliamo della mostra. Perché la scelta del titolo “Clessidra. La misura del tempo ritrovato”?
L’uomo e la sua vita è fatta di tempo. Un tempo che scorre, non si ferma mai e ci conferma in ogni momento che la vita passa. Queste opere in mostra sono come i tanti granelli della mia carriera artistica. Sono piccoli studi a inchiostro preparatori dei miei svariati lavori e che rappresentano il divenire della mia carriera. Ritrovare queste opere mi ha permesso di riflettere sul senso della mia carriera artistica. Ed ecco cosa vuol dire “tempo ritrovato”: ho fisicamente ritrovato un oggetto del passato che mi ha permesso di riflettere. 

 

Dove l’ha portato questa riflessione?
Nella vecchiaia bisogna porsi il problema della qualità. Cerco sempre di distillare tutto ciò che faccio per arrivare a un’essenza. Durante la mia carriera artistica mi sono sempre chiesto se stavo facendo la cosa giusta. Ho sempre ritenuto i versi di Rainer Maria Rilke illuminanti riguardo ciò:

“Giro attorno a Dio, all’antica torre,
giro da millenni;
e ancora non so se sono un falco, una tempesta o un grande canto” 

Penso che il presente non esista, è qualcosa che avanza e non si ferma. Mi ha sempre intimorito l’idea che questo dinamismo possa allontanarmi dal mio obiettivo.

 

Ed esattamente il suo obiettivo qual è?
Il mio primo obiettivo è quello di lasciare un segno. Il secondo obiettivo invece è quello di identificare un lato concettuale dell’arte e di eliminare il suo lato fittizio. L’arte di oggi è fatta di superficialità. La ricerca di oggi è sullo stupire e non sulla qualità, motivo per cui per me è importante l’atto della ricerca per raggiungere una qualità.  

 

Le faccio un’ultima domanda su un aspetto più tecnico: come sono state fatte queste opere ad inchiostro?
Ho usato l’inchiostro che mi ha permesso di ottenere degli effetti di trasparenza. La carta assorbente asciutta, grazie alla sua superficie, ha portato l’espansione del colore. Espansione che si è creata a partire dal movimento del pennello: è stato quello il momento in cui ho capito come il colore sia vivo e si muove. Così dal movimento della mia mano sono nate delle immagini emotive e non immagini di gusto.


Accesso

“Clessidra – la misura del tempo ritrovato” è visitabile dal 23 marzo al 28 aprile 2024 nei giorni di apertura del Museo Civico Arsenio Crespellani

> dal martedì al venerdì dalle 15:00 alle 19:00

> sabato, domenica e festivi: periodo estivo (aprile/ottobre) dalle 10 alle 19, periodo invernale (novembre/marzo) dalle 10 alle 18