Arcipelago 2023 – Settima Edizione | Intervista a Eliel David Perez Martinez
Arcipelago – Nessuno è veramente un’isola è il concorso artistico riservato agli artisti esordienti che, per volere e col sostegno della famiglia Biagi, da sette anni si tiene in Valsamoggia in ricordo di Gustavo Biagi. Il contest ha lo scopo di valorizzare e dare spazio ad artisti emergenti, consentendo di esporre le proprie opere all’interno di una mostra.
La mostra con le opere dei vincitori e delle vincitrici di questa settima edizione è visitabile dal 9 al 24 settembre alla Rocca dei Bentivoglio.
Scopri il progettoPer conoscere meglio l’arcipelago artistico creato dai vincitori e dalle vincitrici di quest’anno, siamo andati ad esplorare i mondi che compongono questo insieme di isole umane.
Oggi conosciamo Eliel David Pérez Martínez, artista messicano del 1998 che vive e lavora a Venezia, dove si è recentemente laureato all’Accademia di Belle Arti. Ha completato i suoi studi presso la Escuela de Bellas Artes de Oaxaca e ha partecipato da molto giovane a mostre e fiere d’arte.
La pratica di Eliel David Pérez Martínez è basata sull’uso del medium pittorico e del tessuto, che vengono impiegati sia in forma bidimensionale che in modalità scultorea. Le sue opere sono caratterizzate da colori accesi e campiture vibranti, frequentemente animate da forme fluide e pattern geometrici. Nei suoi lavori porzioni di tela dipinta, ritagli di tessuto e stracci si alternano liberamente, producendo un particolare impasto in cui trame, geometrie aniconiche e figura sono alternativamente giustapposti. I soggetti rappresentati sono spesso definiti da contorni essenziali, con molti dettagli lasciati alla fantasia dell’osservatore. La figurazione si presenta liquida e antidescrittiva, allusiva, ma contemporaneamente elusiva.
Essere esordienti significa praticare, con qualunque tecnica e qualunque espressione, la fantasia e l’immaginazione con responsabilità, senza avere come meta o scopo unico e ultimo, il mercato. Esordire deriva dal latino “exordiri”, che in origine significava «cominciare a tessere». Quando hai cominciato, per la prima volta, “a tessere”?
Sono originario di un villaggio indigeno nello stato di Oaxaca, in Messico. A differenza di molte grandi metropoli o città dove la globalizzazione ha raggiunto e aperto la strada già da decenni, il mio piccolo villaggio, come molti altri in Messico, continua a lottare per difendere la propria identità culturale, le radici e le tradizioni. Grazie a queste tradizioni, fin dalla mia infanzia mi è stato insegnato che tutto ciò di meraviglioso nella vita può essere realizzato con le proprie mani.
Attualmente percepisco l’arte come un dovere quasi sociale, includendo, manifestando e soprattutto evidenziando l’importanza di affrontare quelle situazioni endemiche in cui è ancora possibile aiutare, dalla nostra zona, come artisti. Esordire dunque per me è iniziato fin da piccolo acquisendo conoscenza dell’ambiente in cui sono cresciuto, trasformandosi poi da alcuni anni in un dovere e una responsabilità verso ciò che mi circonda e con la cultura originaria a cui appartengo.
Come ci insegna Arcipelago, nessuno è veramente un’isola. Cosa significa per te questo concetto?
Nessuno è veramente un’isola, per me significa tenere presente che viviamo in un mondo in cui tutto è interconnesso. Pensare che ognuno si muova in modo indipendente e, soprattutto, che le nostre azioni non interferiscano con la realtà va in contrasto con il concetto di “essere un arcipelago”. L’arte dovrebbe quindi sopravvivere in uno spazio liminale ancora esistente e aiutarci a interagire tra di noi senza necessariamente seguire le regole o i concetti già stabiliti da coloro che hanno definito il regolamento e il comportamento di coloro che vogliono entrare in contatto, sia in modo teorico che pratico, da alcune decadi. Citando Bourriaud: ”L’interstizio é uno spazio di relazione umane che, pur inserendosi più meno armoniosamente e apertamente nel sistema globale, suggerisce altre possibilità di scambio rispetto a quelle in vigore nel sistema stesso’’
Ci racconti una delle tue opere che vedremo in mostra?
“Jaguar escapando de un incendio” (Jaguaro che scappa da un incendio) fa parte di una serie chiamata “pellicce, disastri e alcuni piaceri in più”, in cui cerco di ritrarre e reinterpretare alcuni dei pattern più accattivanti della fauna, soprattutto le texture, i colori e le superfici che mi interessavano di certi animali, contrastando con un contesto fornito dal titolo, spesso di natura triste o catastrofica. Così, la pelle di un giaguaro che, tra macchie, sfumature e texture è interpretata dall’artista, viene introdotta nella sua realtà endemica: gli incendi forestali. Rabbia e tristezza per una situazione in cui tutti siamo coinvolti, ammirazione e venerazione per un animale che appartiene da secoli alla cultura preispanica del nostro paese, sono due sapori contrastanti che ho sperimentato mentre realizzavo tale dipinto.