Arcipelago – Nessuno è veramente un’isola è il concorso artistico riservato agli artisti esordienti che, per volere e col sostegno della famiglia Biagi, da sette anni si tiene in Valsamoggia in ricordo di Gustavo Biagi. Il contest ha lo scopo di valorizzare e dare spazio ad artisti emergenti, consentendo di esporre le proprie opere all’interno di una mostra.

La mostra con le opere dei vincitori e delle vincitrici di questa settima edizione è visitabile dal 9 al 24 settembre alla Rocca dei Bentivoglio.

Scopri il progetto

Per conoscere meglio l’arcipelago artistico creato dai vincitori e dalle vincitrici di quest’anno, siamo andati ad esplorare i mondi che compongono questo insieme di isole umane.

Oggi conosciamo Gabriele Zannini, nato nel 1988 a Comacchio (Ferrara). Nonostante una predisposizione al disegno per molti anni questa abilità non viene coltivata. Nel 2017 comincia a frequentare gli studi di artisti del suo paese ed è questo che lo stimola ad iscriversi al corso di disegno e pittura tenuto dall’artista Enrico Minguzzi in qualità di docente, presso la scuola d’arte LABART di Ravenna.

Il lavoro di Gabriele si focalizza sull’osservazione, l’indagine e la sperimentazione “dell’errore”. Disegna e dipinge alla cieca; gli piace la tecnica, ma al contempo non avere regole; si lascia sorprendere dai suoi stessi lavori. Fa dell’imprevisto durante l’esecuzione un elemento chiave della sua pittura.

 


 

Essere esordienti significa praticare, con qualunque tecnica e qualunque espressione, la fantasia e l’immaginazione con responsabilità, senza avere come meta o scopo unico e ultimo, il mercato. Esordire deriva dal latino “exordiri”, che in origine significava «cominciare a tessere». Quando hai cominciato, per la prima volta, “a tessere”?

Fin da bambino ho coltivato con piacere il disegno, copiando i personaggi dei cartoni animati preferiti prima e le copertine degli album musicali poi; ma si trattava più di un passatempo e così questa dote è rimasta latente per anni. Dal 2018 ho deciso di approfondire la tecnica del disegno e della pittura frequentando un corso specifico e da quel momento dipingere è diventato il modo migliore per esprimermi. Cerco di non avere limiti, di sperimentare tecniche ed idee; il risultato deve soddisfare in primis me stesso, non ricerco per forza il consenso esterno, tantomeno una vendita (anche se non mi dispiacerebbe).

 

Come ci insegna Arcipelago, nessuno è veramente un’isola. Cosa significa per te questo concetto?

Le isole in realtà non sono altro che terre emerse o staccatesi da uno stesso continente, perciò non si tratta di un vero e proprio territorio a sé stante, nato exnovo e completamente avulso da tutto ciò che lo circonda, bensì di un’appendice di quello che gli sta intorno, con le stesse caratteristiche; ma, proprio grazie alla separazione, queste terre hanno saputo conservare le principali peculiarità e farne
un punto di forza. Credo che lo stesso concetto valga per gli esseri umani “isola”. Facciamo tutti parte di una stessa grande specie e siamo mossi dalle stesse dinamiche (gli affetti, i sentimenti, le responsabilità) ma poi ognuno di noi ha la possibilità di far emergere i propri tratti distintivi, caratterizzanti per ogni individuo.

 

Ci racconti una delle tue opere che vedremo in mostra?

Osservazione, indagine ed errore sono gli elementi che caratterizzano SIMULAZIONI. I lavori che fanno parte di SIMULAZIONI hanno come soggetto immagini di astronauti durante simulazioni aerospaziali; l‘astronauta, in quanto esploratore, diventa in questo caso l’emblema di una ricerca interiore, di un viaggio nello spazio della superficie d’azione, delle immagini erronee, dei corpi scomposti e distrutti, da indagare nel loro nuovo linguaggio.

In quest’ultimo lavoro, Simulazione #10, il concetto di scomposizione viene enfatizzato ulteriormente dalla volontà di disegnare fedelmente ogni minimo dettaglio dei soggetti presenti nella fotografia di riferimento; tutto ciò si traduce in innumerevoli piccoli segni che vanno a posizionarsi uno sull’altro.

Tutto questo viene realizzato con una tecnica che si rifà al concetto di “atto mancato” descritto da Sigmund Freud nell’opera Psicopatologia della vita quotidiana del 1901: si vorrebbe fare una certa azione e invece se ne fa un’altra. Durante la realizzazione di queste opere mi concentro ad osservare l’immagine da cui prendo ispirazione, non distogliendo mai lo sguardo, e non mi curo di controllare il risultato dei miei tratti sul supporto; ne derivano dei “lapsus d’azione”, delle immagini erronee, dei corpi scomposti e distrutti, da indagare nel loro nuovo linguaggio.