Dopo quasi quarant’anni, anche Corti, Chiese e Cortili aveva bisogno di una nuova identità visiva. Per compiere questa piccola impresa di rappresentare un festival così eterogeneo e variegato, ci siamo affidati a Sindi Karaj, visual designer e progettista freelance nata in Albania e cresciuta in Italia. Oggi lavora nei settori della cultura, dell’arte contemporanea e dell’editoria e attualmente è responsabile creativa dei progetti espositivi e degli eventi di Fondazione e di Edizioni E.ART.H.

Dopo averla travolta di informazioni, le abbiamo chiesto com’è stato ripensare da zero a tutto, a cosa si è aggrappata, cosa ha utilizzato per dare forma alle onde sonore che oggi rappresentano il festival di musica colta, sacra e popolare.

 

Andiamo in ordine, da dove è partito il tuo ragionamento?

All’inizio sono stata colpita soprattutto da due elementi: la grande eterogeneità dei concerti a livello musicale e l’importanza dei luoghi scelti. A questo punto, però, mi sono accorta che non c’era un elemento iconografico preciso che creasse un legame tra i concerti, andava pensato.

Alla fine, l’estrema particolarità della rassegna risiede proprio nella sua combinazione tra un concerto molto particolare a livello musicale e che quel concerto si svolga in un luogo caratteristico.

A cosa ti sei aggrappata quindi per dare un senso a tutto?

Mi sono fatta guidare da una domanda: cos’è che accomuna tutta la musica a prescindere dal tempo e dallo spazio? Il concetto di onda sonora.

Ho cercato di immaginare come l’onda sonora o un suono si può realizzare e sintetizzare a livello visivo, facendo un po’ di ricerca a livello iconografico. Volevo un segno grafico morbido, fluido e animato per accentuare ancora di più il concetto di onda.

Come hai dato forma a quest’onda?

Ho preso un’intelligenza artificiale (Touch Designer è il nome del software ndr) che ha masticato ed elaborato tutta una serie di informazioni e mi ha permesso di visualizzare in maniera morbida quello che volevo raccontare.

Sono partita da un video unico, prodotto dell’elaborazione di tutte le immagini dei luoghi, dei frammenti musicali e delle foto degli artisti. Questo ha generato il primo movimento di onda che rappresenta tutta la rassegna.

Poi ho fatto la stessa cosa, ma per ogni singolo concerto: ho chiesto all’intelligenza artificiale di elaborare l’immagine del luogo e degli artisti, insieme al frammento musicale della loro musica. In questo modo ogni concerto ha una sua identità visiva specifica e una sua onda personalizzata.

C’è stato un lavoro anche sul naming del festival?

Sì, ho scelto di indivudare un font graziato, molto morbido, per l’elemento caratteristico delle tre C e metterle subito in evidenza. Mentre per il resto del testo ho scelto un bastoni maiuscolo molto semplice, leggero e lineare per garantire la leggibilità.

Che potenzialità ha l’intelligenza artificiale in queste attività creative?

L’intelligenza artificiale è uno strumento che mi ha permesso di dare visivamente un segno grafico a qualcosa che invece era solo concettuale. E che forse non saremmo riusciti a valorizzare al meglio con una grafica statica o standard.

Per me è importante sottolineare questo aspetto: i software generativi, per quanto se ne stia parlando ora in termini negativi o positivi, se utilizzati per quello per cui sono stati inventati, cioè per essere utilizzati in funzione del cervello umano, possono aiutarti a fare cose che altrimenti da solo non riusciresti a fare.

È molto bello sapere che nel movimento di quest’onda, dentro ai puntini di queste onde, ci sono i dati delle immagini delle chiese, dei cortili, delle corti, le note dei concerti, c’è il suono, ci sono testi, ritratti. Penso sia non solo molto romantico, ma si cala perfettamente nel contemporaneo. Racconta un modo di comunicare nuovo e complesso, ma totalmente controllabile e in funzione della creatività umana.